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Aflatossina : Cosa cambia per gli OSA?

By 25 Luglio 2023Luglio 28th, 2023Attività in Evidenza, Sicurezza Alimentare5 min read
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L’aflatossina M1, come tutte le aflatossine, è una micotossina prodotta da due specie di Aspergillus, un fungo che si trova soprattutto in zone caratterizzate da clima caldo e umido. Nello specifico, l’aflatossina M1 può essere presente nel latte proveniente da animali nutriti con mangimi contaminati da aflatossina B1.

In considerazione della sua tossicità, il Ministero della Salute ha definito i “Criteri per la classificazione dei formaggi e fattori di concentrazione (art. 2 del regolamento CE 1881/2006 e sm) per l’aflatossina M1 nei formaggi” attraverso una circolare pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Aflatossina e limiti di concentrazione

Dal momento che le aflatossine, inclusa l’M1, sono classificati come agenti potenzialmente cancerogeni per l’uomo appartenenti al gruppo B, secondo la classificazione dello IARC (clicca qui per approfondire), il Regolamento europeo 1881/06 e  s.m.i. ne stabilisce limiti di concentrazione.

Nello specifico:

  • Alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento, compresi il latte per lattanti e il latte di proseguimento: Limite M1 pari a 0,025 µg/kg
  • Alimenti dietetici ai fini medici speciali destinati specificatamente ai lattanti: Limite M1 pari a 0,025 µg/kg
  • Latte crudo, latte trattato termicamente e latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte: Limite M1 pari a 0,050 µg/kg

Tali limiti, tuttavia, eccetto che per i prodotti destinati ai lattanti, sono riferiti esclusivamente al latte, non ai prodotti caseari.

Cosa è l’aflatossina M1?

L’aflatossina M1 è il metabolita principale della AFB1 nel latte dei mammiferi, ruminanti e non, generata dalle specie di fungo Aspergiullus, che prolifica in un clima caldo e umido. L’aflatossina B1, infatti, è la più diffusa nei prodotti alimentari ed è una delle più potenti in termini di proprietà genotossiche e cancerogene.

L’aflatossina M1 è la tossina che deriva dal metabolismo della B1 in animali alimentati con mangimi contaminati. Ad esempio, l’aflatossina M1 viene secreta nel latte di vacche alimentate con tali mangimi e può pertanto trovarsi in latte e derivati (come yogurt e formaggi) e attraverso di essi trasmettersi all’uomo.

I limiti per i prodotti caseari

Per i prodotti caseari, quali i formaggi, i limiti di aflatossina M1 sono definiti attraverso fattori di concentrazione o diluizione della sostanza nel prodotto finito.

Durante la caseificazione, infatti, l’aflatossina M1 si ripartisce tra cagliata e siero, concentrandosi nella cagliata. Quanto l’aflatossina M1 può concentrarsi o diluirsi nel prodotto finito rispetto al latte di partenza dipende dalla tipologia di formaggio e può variare sensibilmente in funzione dello specifico processo produttivo anche all’interno di una stessa categoria di formaggio.

Nel 2018, il Ministero della Salute ha armonizzato le norme nazionali che disciplinavano i fattori di concentrazione dell’aflatossina M1 con le norme comunitarie di classificazione dei formaggi per far fronte alle criticità evidenziate in fase di controllo ufficiale nel definire i fattori di concentrazione da applicare per le diverse tipologie di formaggi campionati.

Gli esperti indagano costantemente il rischio di tali tossine per la salute umana, valutando di anno in anno i rischi delle micotossine nella filiera alimentare: è il caso, per esempio, del Rapporto ISTISAN 2020 a cura dell’Istituto Superiore di Sanità (clicca qui per leggere il Rapporto) e del più recente Parere del Ministero della Salute del 24 febbraio 2021 riguardante le Micotossine non regolamentate: Metaboliti dell’aflatossina B1 (aflatossina M1 e aflatossicolo) e sterigmatocistina in prodotti lattiero-caseari a cura del CNSA (Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare).

Aflatossina: cosa cambia per gli OSA?

A seguito della pubblicazione della Circolare del Ministero della Salute del 2018, l’Autorità Competente deve indicare in modo dettagliato la denominazione del formaggio o allegarne copia dell’etichetta in modo da consentirne la classificazione al laboratorio di analisi, riportando, se disponibili, i fattori di concentrazione definiti dall’OSA.

Viene pertanto ripreso quanto disposto dall’art 2 del Reg. 1881/06, secondo cui sono gli stessi OSA a essere responsabili di identificare e fornire i fattori specifici di concentrazione o diluizione all’autorità competente quando effettua un controllo ufficiale.

Nel caso in cui l’OSA non abbia identificato il fattore di concentrazione o se l’autorità competente ritiene il fattore applicato dall’OSA inidoneo alla luce della motivazione addotta, è l’Autorità stessa a definire il fattore in base alle informazioni disponibili.

Per gli OSA risulta pertanto fondamentale definire i coefficienti di concentrazione dei propri prodotti attraverso specifiche analisi quantitative dell’aflatossina M1.

In assenza di fattori di concentrazione individuati dagli OSA, l’Autorità competente adotterà quelli indicati dal Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare, ovvero:

  • 3,0 per i formaggi a pasta tenera e prodotti derivati dal siero
  • 5,5 per i formaggi a pasta dura

Rispetto alle due categorie di formaggi suindicate, la circolare ministeriale chiarisce che debbano includersi in esse le categorie indicate nella Decisione della Commissione 97/80/CE secondo la quale i formaggi sono classificati, in base al fattore di umidità del formaggio magro, detto “Moisture on Fat-Free Basis” o MFFB, in:

  • formaggi a pasta molle;
  • formaggi a pasta tenera;
  • formaggi a pasta semi-molle;
  • formaggi a pasta semi-dura;
  • formaggi a pasta dura formaggi a pasta dura;
  • formaggi a pasta dura extra-dura.

Come capire se in un prodotto alimentare ci sono le aflatossine?

Le aflatossine sono invisibili e insapore. Come erroneamente qualcuno potrebbe credere, la muffa sui cibi non è indicativa della loro presenza. Solo un serio controllo della filiera di coltivazione e produzione consente ai consumatori di essere certi di non correre rischi. È per questo che l’Unione Europea ha introdotto diverse norme per ridurre al minimo la presenza di aflatossine negli alimenti.

Rischi e controlli

Per tutelare la salute dei consumatori dalla pericolosità della aflatossina M1, l’Istituto Superiore di Sanità prevede un Piano nazionale di controllo ufficiale delle micotossine, che si occupa a livello nazionale del campionamento e dell’analisi degli alimenti e dei mangimi a rischio, con l’obiettivo di disporre delle informazioni scientifiche utili al fine di definire l’esposizione a tali contaminanti.

Stando alla relazione del CNSA, “i numerosi dati disponibili per aflatossina M1 nel latte italiano non evidenziano particolari problemi per la popolazione adulta”. Infatti, i programmi di controllo evidenziano che “le concentrazioni nel latte sono in massima parte entro i limiti di tolleranza legali”.

Viene comunque raccomanda una maggiore attenzione all’esposizione della fascia di popolazione da 1 a 10 anni per la quale maggiore è il consumo di latte e prodotti derivati e per cui la pericolosità di tali sostanze cancerogene risulta ancora più elevata.

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