Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con l’interpello 24 ottobre 2013, n. 14, è ritornato nuovamente sui profili applicativi della disciplina inerente le procedure standardizzate di effettuazione della valutazione dei rischi. Il ricorso a tali procedure rappresenta, come si sa, un’importante semplificazione che, durante i primi mesi di applicazione del Decreto Interministeriale del 30 novembre 2012 ha suscitato anche diverse difficoltà interpretative, specie per quanto riguarda i casi di esclusione. Infatti, il ricorso alle procedure standardizzate non è consentito solo a quei datori di lavoro che occupano oltre i 50 dipendenti ma anche a quelli che esercitano determinate attività che il legislatore ha espressamente qualificato come a maggior rischio.
Nella fattispecie il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in merito al possibile utilizzo delle procedure standardizzate per le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “basso per la sicurezza e irrilevante per la salute di lavoratori “ e il cui rischio biologico sia risultato “non evidenziare rischi per la salute dei lavoratori”.
Inoltre si è chiesto se tutte le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “non basso per la sicurezza e/o non irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico sia risultato “ evidenziare rischi per la salute dei lavoratori” non debbano utilizzare le procedure standardizzate oppure vi siano esclusioni per alcune attività lavorative, per esempio istituti di istruzione, uffici in genere, ecc. per le quali sia comunque consentita la valutazione dei rischi utilizzando le procedure standardizzate.
Nel merito la Commissione si è così espressa:
L’art. 224, comma 2, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni prevede che “se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”. Quando a seguito della valutazione appena riportata risulta che in azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico (vedi art. 29, comma 7, lett. f, D.Lgs. 81/2008), il datore di lavoro di un’impresa che occupa fino a 50 lavoratori può adottare le procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f, del D.Lgs. n. 81/2008. Vista l’analogia delle disposizioni di riferimento ( vedi art. 271, comma 4, D.Lgs. 81/2008), le considerazioni su espose valgono anche per il rischio biologico. Resta inteso che, qualora dall’esito della valutazione dei rischi non ricorrano le condizioni di mancata esposizione appena richiamate, non sarà possibile utilizzare le procedure standardizzate.
Questo orientamento espresso dalla Commissione consente di affermare che, in generale, nel caso delle piccole attività commerciali (come, per esempio, negozi di prodotti non alimentari, rivendite di generi di monopolio, agenzie, ecc.) e degli studi professionali di attività non sanitarie (legali, commerciali, consulenza del lavoro, tecnici, ecc.) che occupano fino a 50 lavoratori, qualora siano rispettate la misure di prevenzione in materia di agenti chimici (per quanto riguarda, per esempio, il toner, le colle, la carta, la gestione delle stampanti, il divieto di fumo, l’impiego di prodotti per le pulizie di tipo domestico, ecc.), il datore di lavoro potrà ricorrere alle procedure standardizzate e redigere il documento standardizzato di valutazione dei rischi