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Sicurezza Alimentare

Tutti i colori del sale

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Il cloruro di sodio (NaCl), comunemente definito “sale”, è un alimento che non manca mai nelle nostre case e che si trova abbondantemente anche in natura, sia disciolto nell’acqua marina che nei giacimenti sulla terraferma. Il sale è sempre stato un bene di importanza fondamentale nella vita sociale ed economica dell’umanità, fin dall’antichità.  

È una materia prima diffusa in tutto il mondo e ne esistono diverse tipologie, che presentano caratteristiche fra loro differenti, a cominciare dal colore. In questo articolo le analizzeremo insieme, focalizzandoci sulle regole previste dalla normativa vigente. 

Sale alimentare: come viene definito dalla legge?

Utilizzato fin dall’antichità per le sue proprietà antimicrobiche per conservare più a lungo le derrate alimentari deperibili (quali carne e pesce), il sale è ancora oggi diffusamente adoperato in cucina per la sua capacità di esaltare i sapori delle pietanze e aumentarne la palatabilità. Nell’industria alimentare è usato anche per la produzione di alimenti quali salumi stagionati e insaccati, formaggi freschi e stagionati, conserve, pani e prodotti da forno.  

La normativa vigente di riferimento (il Decreto n. 106 del 31 gennaio 1997) definisce il sale alimentare come: 

il prodotto ottenuto dall’acqua di mare, dai giacimenti salini sotterranei oppure dalle salamoie naturali. Il sale di altre origini, in particolare il sale ottenuto come sottoprodotto da procedimenti industriali, non può essere destinato all’alimentazione umana. 

 L’etichettatura del sale

<h2>L’etichettatura del sale</h2> 

Il decreto 106/97 fissa anche i requisiti relativi all’etichettatura del sale, che vanno a sommarsi alle disposizioni comunitarie previste dal Regolamento UE 1169/11. 

Tale decreto specifica che, affinché i consumatori ricevano informazioni sugli alimenti in maniera chiara e dettagliata, l’etichetta del sale deve riportare le seguenti indicazioni specifiche: 

  1. Denominazione di vendita “sale” integrata dalla specificazione “alimentare” oppure “per uso alimentare” oppure “da cucina” oppure “da tavola”; 
  2. Il tipo di estrazione dal quale proviene (acqua di mare, giacimenti sotterranei, salamoia naturale); 
  3. La specificazione relativa alla forma di presentazione (fino, grosso) e all’eventuale processo di lavorazione

Le varianti del sale in base ai colori

Scoprire tutti i colori del sale è un po’ come fare il giro del mondo: infatti, il colore del sale dipende dalla zona in cui viene estratto, laddove le caratteristiche chimico-geologiche del territorio conferiscono le caratteristiche colorazioni. 

Attualmente in commercio troviamo numerose varianti del sale provenienti dai più svariati Paesi del mondo:  

  • il sale bianco estratto in Sicilia; 
  • quello grigio naturalmente ricco di iodio, calcio e magnesio; 
  • il pregiato sale rosa dell’Himalaya; 
  • il sale rosso delle Hawaii; 
  • quello nero di Cipro; 
  • il sale blu di Persia.
     

Questi prodotti differiscono dal sale comunemente utilizzato in cucina per la loro specifica composizione, che ne determina poi la colorazione. Per esempio, il sale rosa, detto anche “sale dell’Himalaya”, deve il suo colore dall’accentuata presenza di ferro, così come il sale rosso delle Hawaii che presenta un contenuto di ferro oltre cinque volte superiore a quello del comune sale da cucina. Il sale nero di Cipro è invece ricco di carbone vegetale che conferisce la colorazione nera, mentre il sale blu di Persia deve la sua colorazione al minerale silvinite

L’importanza della denominazione legale

Per queste tipologie di sali non esiste una normativa specifica; pertanto, la loro etichettatura dovrà rispondere ai requisiti richiesti per il sale comune.  

È fondamentale quindi che le etichette di alimenti quali il “sale rosa dell’Himalaya”, il “sale blu di Persia” e così via – che rappresentano il nome commerciale del prodotto – siano accompagnate dalla denominazione legale richiesta dal Decreto 31 gennaio 1997 n. 106, come specificato sopra. 

È importante sottolineare, inoltre, che questi prodotti spesso vantano oltre a caratteristiche organolettiche peculiari, anche particolari proprietà benefiche e salutari, circa le quali non sempre esiste un riscontro da parte della comunità scientifica. Per questo motivo, eventuali indicazioni nutrizionali e sulla salute (Claims) fornite attraverso l’etichettatura, la presentazione o anche solo la pubblicità dei sali colorati devono essere chiare e non fuorviare il consumatore ed essere in accordo alle legislazioni vigenti in merito, oltre a non incoraggiare il consumo eccessivo di sale.

Il Regolamento UE 1169/11 e le informazioni sugli alimenti

Al fine di avere un’etichettatura chiara e precisa e di informare correttamente il consumatore, il legislatore comunitario ha emanato il Regolamento 1169/2011 il cui scopo è quello di definire in modo generale i principi, i requisiti e le responsabilità che disciplinano le informazioni sugli alimenti e in particolare la loro etichettatura, per garantire il diritto dei consumatori all’informazione. 

In particolare, il Regolamento UE 1169/11 stabilisce che le informazioni sugli alimenti non devono indurre in errore il consumatore circa il Paese di origine o il luogo di provenienza del prodotto alimentare; in considerazione di questo, ricordiamo di verificare sempre che l’origine suggerita dal nome commerciale del sale (per esempio, “dell’Himalaya”) corrisponda alla sua effettiva provenienza.

Sale iodato e obbligo di informazioni in etichetta

Un caso completamente differente è quello del sale iodato, le cui proprietà benefiche ai fini della prevenzione di alcuni disturbi della tiroide risultano comprovate e riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Proprio per questo motivo, l’Italia ha approvato la Legge 55/2005 che ha introdotto un programma nazionale di iodoprofilassi attraverso la vendita obbligatoria di sale iodato in tutti i punti vendita e la possibilità di utilizzo nella ristorazione collettiva e nell’industria alimentare. 

Per il sale iodato il Decreto 562/1995, concernente la produzione e il commercio di sale da cucina iodurato, di sale iodato e di sale iodurato e iodato, prescrive l’obbligo di riportare in etichetta le seguenti indicazioni: 

  1. La specifica denominazione legale individuabile in “sale iodurato” per il sale addizionato di ioduro di potassio, in “sale iodato per quello addizionato di iodato di potassio e in “sale iodurato e iodato” per quello addizionato di ioduro e iodato di potassio; 
  2. Una dicitura che ne consigli l’impiego per integrare regimi alimentari carenti di iodio in sostituzione del comune sale alimentare; 
  3. L’avvertenza di conservazione, ovvero di mantenere il prodotto in luogo fresco, asciutto e al riparo della luce. 

In aggiunta, a marzo 2023 l’OMS ha pubblicato il primo report globale sui progressi compiuti nell’attuazione di politiche di riduzione dell’intake di sodio. Con tale report, l’OMS si pone l’obiettivo di proteggere la popolazione dall’onere delle malattie non trasmissibili, in particolare le malattie cardiovascolari che sono la prima causa di morte e disabilità a livello globale.  

Alla luce di ciò appare fondamentale, quindi, che le indicazioni che accompagnano il sale, proprio come accade per tutti gli altri alimenti, siano veritiere, chiare e facilmente comprensibili in modo da non indurre in errore il consumatore circa la composizione, le proprietà e le caratteristiche delle varie tipologie di questo prodotto presenti in commercio. 

Che si tratti di sale rosa, nero, grigio o blu, è importante che il consumatore abbia tutti gli strumenti che gli permettano di compiere un acquisto consapevole e adeguato ai suoi gusti e ai suoi bisogni nutrizionali, oltreché di salute. 

Nuove norme per la produzione di salumi

By Sicurezza AlimentareNo Comments

A partire dal 25 agosto 2016 è entrato in vigore il Decreto Ministeriale relativo alla disciplina di produzione e vendita di alcuni prodotti di salumeria. Questo decreto arriva più di dieci anni dopo il precedente decreto del 21 settembre 2005, modificandolo e aggiornandolo.  

Nello specifico, vengono modificati alcuni parametri relativi alle denominazioni “prosciutto cotto”, “prosciutto crudo stagionato” e “salame”, mentre vengono introdotti ex novo alcuni articoli relativi alla denominazione “culatello” precedentemente non contemplato dalla norma. 

In questo articolo vedremo tutte le novità introdotte dal decreto del 2016, che disciplina tutt’oggi il settore dei salumi. 

Le novità previste dal Decreto  26 maggio 2016

Le novità introdotte dal Decreto 2016, detto anche “Decreto salumi”, sono molteplici, pur trattandosi per la maggior parte di piccole modifiche che prevedono l’aggiunta di termini e definizioni a quelle già esistenti.  

Fra le indicazioni generali, valide per tutti i prodotti, riguardano la presenza di conservanti quali nitrati e nitriti nel prodotto finito. Alcune innovazioni tecnologiche prevedono, infatti, l’aggiunta ai prodotti di salumeria in questione di ingredienti che apportano naturalmente nitriti e nitrati e che quindi svolgono una funzione conservante “naturale” nel salume. L’utilizzo di questi ingredienti rimane consentito, ma decade la possibilità di vantare in etichetta la caratteristica “senza conservanti” nel prodotto finito. 

Proseguendo nella lettura del “Decreto salumi”, è possibile cogliere alcuni aspetti rilevanti, in particolare per quanto riguarda la produzione di prosciutto cotto, prosciutto crudo stagionato e salame. 

 Prosciutto cotto

Rispetto a quello del 2005, il Decreto  del 26 maggio 2016 elimina l’obbligo per il prosciutto cotto di riportare un termine minimo di conservazione (TMC) calcolato a partire dalla data di confezionamento; viene cioè lasciata libertà di allungare le date di preferibile consumo, qualora gli accorgimenti tecnologici lo permettano. 

È stato inoltre aumentato di un punto percentuale il tenore massimo di umidità consentito, sia per il prosciutto cotto che per il prosciutto cotto scelto. 

Inoltre,, è stato eliminato per il prosciutto cotto di alta qualità il limite minimo di temperatura di 69°C al cuore del prodotto per le operazioni di cottura, lasciando anche in questo caso la libertà ai produttori di sperimentare metodi di cottura “alternativi”, purché rimanga garantita la salubrità igienico sanitaria del prodotto.

Prosciutto crudo stagionato

Per quanto riguarda il prosciutto crudo stagionato, il Decreto salumi riduce la durata del tempo minimo di riposo delle cosce di suino dopo la rimozione del sale; da 45 a 40 giorni per le piccole cosce e da 60 a 55 per le cosce di peso superiore agli 11 kg. 

Cambiano anche gli ingredienti della sugnatura, ovvero dell’impasto applicato manualmente sulla coscia di maiale costituito tradizionalmente da grasso di suino, sale e pepe: il nuovo Decreto mette in campo ulteriori aromi autorizzati in questa procedura. 

Sono state inoltre contemplate altre forme di vendita rispetto a quelle attualmente permesse, che erano solamente: 

  •  “intero”;  
  • “disossato”;  
  • “in tranci”; 
  • “affettato”. 

Il nuovo Decreto 2016, infatti, consente la messa in vendita del prosciutto crudo stagionato in qualsiasi forma ritenuta adeguata dal venditore stesso, come ad esempio “cubettato” e “a fiammifero”

Salame

In merito alla produzione del salame, il Decreto specifica che questo dovrà essere preparato con carne prevalentemente della specie suina; ciò vale a dire che la carne suina dovrà costituire la tipologia di carne maggiormente presente in percentuale in un salame.  

In passato, invece, nella produzione del salame veniva consentito l’uso di carni di altre specie, senza che fosse specificata la preponderanza della carne suina. 

Ovviamente, rimane la possibilità di produrre salami con altre carni (ad esempio, cervo, capriolo, cinghiale), a patto che ciò sia chiaramente specificato nell’etichetta del prodotto e non tragga in inganno il consumatore. 

L’etichetta di origine obbligatoria

n ulteriore passo in avanti nella normativa che disciplina la produzione dei salumi è stato fatto il 31 gennaio 2021, con l’entrata in vigore del Decreto 230/2020, che obbliga i produttori a indicare in etichetta la provenienza delle carni suine trasformate utilizzate per prosciutti e salumi. 

L’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate permette al consumatore di conoscere l’origine della materia prima che, anche se potrà sorprendere, spesso arriva dall’estero. L’attenzione al Made in Italy si estende quindi anche in questo settore: ricordiamo come per altri prodotti (riso, pasta, pomodoro...) sia già obbligatoria tale indicazione in etichetta.  

 Cosa prevede il Decreto 230/2020

Con il Decreto ministeriale del 2020 vengono stabilite le indicazioni da riportare obbligatoriamente sulle etichette degli alimenti trasformati a base di carni suine, e nello specifico: 

  • Paese di nascita 
  • Paese di allevamento 
  • Paese di macellazione 

Laddove il Paese di nascita, allevamento e macellazione coincida (ad esempio con Italia)  può essere usata la dicitura “origine: Italia”, oppure  “100% italiano”; qualora invece le carni provengano da suini nati, allevati e macellati in uno o più Stati membri oppure da Paesi extra-Comunitari, possono essere usate le diciture: “Origine: UE”, “Origine: extra UE”, “Origine: UE ed extra UE”. 

Queste specifiche consentono al consumatore di conoscere tutte le tappe della filiera produttiva, garantendo totale trasparenza in tutto l’arco della produzione. In particolare, queste indicazioni riguardano tutti i prodotti a base di carne di suino trasformati, ovvero:  

  • salami di ogni tipologia e pezzatura; 
  • mortadella; 
  • prosciutto crudo; 
  • prosciutto cotto; 
  • speck; 
  • wurstel; 
  • cordon-bleu; 
  • hamburger; 
  • salsicce fresche; 
  • altri prodotti o insaccati a base di carne suina. 

Ricordiamo che l’indicazione del luogo di provenienza della carne suina deve essere apposta in etichetta nel campo visivo principale ed è stampata in modo da risultare facilmente visibile e chiaramente leggibile.

Le altre informazioni in etichetta

Le informazioni indicate dal Decreto 230/2020 vanno chiaramente ad aggiungersi a quelle previste dal Regolamento UE 1169/2011, che all’articolo 9 elenca tutte le informazioni obbligatorie da riportare in etichetta, e cioè: 

  1. la denominazione dell’alimento; 
  2. l’elenco degli ingredienti; 
  3. qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico […] che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un ali­mento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata; 
  4. la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti; 
  5. La quantità netta dell’alimento; 
  6. il termine minimo di conservazione o la data di scadenza; 
  7. le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego; 
  8. il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare; 
  9. il paese d’origine o il luogo di provenienza; 
  10. le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento; 
  11. per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo; 
  12. una dichiarazione nutrizionale. 

Le 10 richieste più frequenti degli Ispettori ASL

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Con l’entrata in vigore e il costante aggiornamento delle normative sulla sicurezza alimentare, accompagnate da un generale snellimento delle procedure autorizzative per l’avvio di nuove attività, sono parallelamente divenuti più stringenti i requisiti necessari alla apertura dell’azienda e al suo mantenimento.  

Come diretta conseguenza, anche i controlli dell’autorità competente sono incrementanti e si sono fatti più severi. In questo articolo vedremo quali sono le 10 richieste più frequenti degli Ispettori ASL nell’ambito della sicurezza alimentare. 

Quali sono le richieste delle ASL in fase ispettiva?

Ogni anno, il Ministero della Salute emana una Relazione sul processo di Autovalutazione, nella quale vengono riportati i dati relativi alle ispezioni effettuate dai Servizi di Igiene degli Alimenti e Nutrizione e i Servizi Veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione delle A.S.L. 

La Relazione per l’anno 2021 pubblicata nel 2022 riporta dati interessanti circa i controlli sulle unità operative (produttori, produttori primari, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio, ristorazione e trasporto), indicando le percentuali di difformità rilevate durante le ispezioni. 

Ma, nello specifico, dov’è che l’operatore del Settore Alimentare viene maggiormente tenuto sotto controllo? Quali sono le fasi più critiche che necessitano di particolare attenzione al fine di garantire al consumatore un prodotto sano? 

Abbiamo stilato, sulla base della nostra esperienza pluriennale in campo di sicurezza alimentare, un elenco delle 10 cose più richieste dagli organi di controllo durante le verifiche ispettive: 

  1. Rintracciabilità 
  2. Igiene dei locali 
  3. Requisiti strutturali 
  4. Modalità di conservazione degli alimenti 
  5. Presenza e adeguatezza del HACCP 
  6. Formazione HACCP del personale 
  7. Presenza e compilazione delle schede di monitoraggio previste dal sistema HACCP 
  8. Igiene del vestiario e procedurale degli operatori 
  9. Gestione degli allergeni 
  10. Documentazione autorizzativa

Rintracciabilità

La verifica delle rintracciabilità si focalizza su due aspetti principali: sulla capacità di identificare la merce in ingresso e sulla presenza dell’etichetta su ogni prodotto in stoccaggio. In particolare, l‘etichetta deve riportare i dati obbligatori di rintracciabilità (il lotto) e le informazioni sulla scadenza dell’alimento, oltre a identificare la natura e le caratteristiche del prodotto stesso. 

Gli ispettori non si focalizzano solamente sulla presenza dell’etichetta, bensì anche sulla verifica della sua leggibilità e della compilazione, che deve essere a norma di legge, oltreché sulla verifica della sua presenza anche quando il prodotto non è più integro perché parzialmente utilizzato.

Igiene dei locali e requisiti strutturali

L’ordine e l’igiene dei locali, così come l’adeguatezza dei requisiti strutturali, sono il biglietto di presentazione dell’azienda tanto verso il cliente quanto per l’organo di controllo: aree di lavoro e attrezzature sempre pulite e ordinate (anche le aree del pavimento sotto i banchi e le pedane di lavoro) sono sicuramente un ottimo punto di partenza per una visita ispettiva a lieto fine. 

Ricordiamo che spesso gli ispettori hanno al seguito macchine fotografiche per documentare i rilevamenti, immortalando tutto quanto risulti rilevante ai fini dell’ispezione: il nostro consiglio è di vigilare sempre che le pareti, i pavimenti, le scaffalature e le retine anti-insetti siano integri e puliti. 

Tali requisiti suggeriscono immediatamente agli ispettori che l’operatore è sensibile e attento al rispetto di principi base della sicurezza alimentare, predisponendo a un approccio ispettivo più collaborativo. 

Modalità di conservazione degli alimenti

Le modalità di conservazione degli alimenti sono un aspetto fondamentale della visita ispettiva, poiché una corretta conservazione previene il rischio di contaminazioni crociate. 

La stessa dotazione frigorifera può contenere alimenti di diversa tipologia, ma l’ispettore verificherà che questi siano separati accuratamente fra loro (attraverso contenitori muniti di coperchio o pellicola per alimenti, ad esempio) e che le date di scadenza degli stessi non siano superate. 

Altro elemento da tenere sotto controllo è la temperatura, che l’ispettore controllerà verificando il display del termometro. La corretta temperatura deve essere impostata in funzione dei prodotti contenuti all’interno della cella frigorifera; inoltre, l’ispettore si accerterà che non vengano conservati in congelatore prodotti freschi all’origine se l’azienda non dispone di abbattitore di temperatura e di idonea procedura di congelamento.

Presenza e adeguatezza delle procedure di autocontrollo (HACCP)

Le procedure previste dal Piano di Autocontrollo HACCP (Hazard analysis and critical control points), come previste dalla normativa vigente (ovvero il Regolamento CE 178/2002 e il Regolamento CE 852/2004), vanno osservate pedissequamente dagli operatori del settore alimentare. 

I pilastri su cui si fonda l’HACCP sono 7: 

  1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre; 
  2. Identificare i punti critici di controllo (CCP – Critical Control Points) nelle fasi in cui è possibile prevenire, eliminare o ridurre un rischio; 
  3. Stabilire, per questi punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità dalla inaccettabilità; 
  4. Stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo; 
  5. Stabilire azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo (superamento dei limiti critici stabiliti); 
  6. Stabilire le procedure da applicare regolarmente per verificare l’effettivo funzionamento delle misure adottate; 
  7. Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare. 

Formazione HACCP del personale

Il Regolamento CE 852/2004 in materia di igiene alimentare sopra citato non definisce le modalità della formazione, che sono invece stabilite dalla normativa regionale. 

Tuttavia, è necessario che la formazione venga erogata trasversalmente a tutto il personale che fa parte della filiera alimentare e che si occupa della manipolazione del prodotto, per istruire gli operatori sulle tematiche HACCP, quali: 

  • igiene della persona; 
  • malattie trasmissibili dagli alimenti; 
  • sanificazione; 
  • allergeni e diete speciali. 

Presenza e compilazione delle schede di monitoraggio previste dal sistema HACCP

La mancata applicazione delle procedure dell’HACCP è sanzionabile nel modo che segue, come previsto dal D.Lgs. 193/07: 

L’operatore del settore alimentare che omette di predisporre procedure di autocontrollo basate sui principi del sistema HACCP, comprese le procedure di verifica da predisporre ai sensi del regolamento (CE) n. 2073/2005 e quelle in materia di informazioni sulla catena alimentare, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1000 a euro 6000. 

Ogni attività necessita di un proprio manuale di autocontrollo, e l’OSA deve provvedere alla compilazione delle schede di monitoraggio previste dal manuale stesso. Tutto il personale addetto alla manipolazione degli alimenti necessita della formazione HACCP come previsto dalla normativa Regionale vigente. La relativa documentazione deve essere archiviata presso l’attività e messa a disposizione dell’autorità competente in caso di ispezione.

Igiene del vestiario e procedurale degli operatori

Un alimento è sano e sicuro se l’operatore che lo produce è pulito e rispetta tutte le buone norme di lavorazione previste: idoneo abbigliamento (copricapo che raccolga tutta la capigliatura, veste di colore chiaro e pulita) e corrette modalità operative (si ricorda in particolare il lavaggio delle mani prima della manipolazione degli alimenti e che manipolare denaro senza poi provvedere immediatamente alla sanificazione delle mani è causa di sanzione!!). 

Gestione degli allergeni

L’articolo 21 del Reg UE 1169/11 sull’informazione ai consumatori relativo alla gestione degli allergeni ribadisce l’obbligo di evidenziare al cliente gli stessi, qualora siano presenti presso l’attività. Quindi la mancata evidenza di tale comunicazione al consumatore è sanzionata dall’organo di controllo. 

Nel Regolamento, vengono elencati tutti quegli alimenti che possono scatenare reazioni allergiche e che devono essere obbligatoriamente indicati come allergeni in etichetta. Nello specifico, gli allergeni sono: 

  1. Cereali contenenti glutine; 
  2. Crostacei e prodotti a base di crostacei; 
  3. Uova e prodotti a base di uova; 
  4. Pesce e prodotti a base di pesce;  
  5. Arachidi e prodotti a base di arachidi; 
  6. Soia e prodotti a base di soia; 
  7. Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio); 
  8. Frutta a guscio; 
  9. Sedano e prodotti a base di sedano; 
  10. Senape e prodotti a base di senape; 
  11. Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo; 
  12. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro; 
  13. Lupini e prodotti a base di lupini; 
  14. Molluschi e prodotti a base di molluschi. 

La comunicazione degli allergeni può avvenire con diverse modalità, ad esempio attraverso un libro ingredienti o un qualsiasi altro sistema equivalente. 

Documentazione autorizzativa

Nessuna attività può operare senza autorizzazioni amministrative e sanitarie. In linea teorica, l’autorizzazione sanitaria o la DIA sanitaria dovrebbero essere esposte all’interno dei locali e comunque dovrebbero sempre essere a disposizione delle Autorità Competenti. Dal 2013, la presentazione di tale documento avviene per via telematica e di conseguenza è possibile archiviarla con facilità anche su dispositivi elettronici. 

Il vademecum che vi abbiamo illustrato non deve però spaventare. Un Operatore del Settore Alimentare attento e accorto alle esigenze del consumatore, che considera la propria attività e i propri clienti come la propria casa e la propria famiglia, è conscio di essere al contempo commerciante ma anche cliente, e quindi di avere il dovere e il diritto di fornire e ricevere alimenti sani. 

Con queste premesse non dovrà aver timore di alcuna sanzione, anzi troverà nell’organo di controllo un valido collaboratore nell’applicazione della normativa.

 

Contaminazioni chimiche degli alimenti

By Sicurezza AlimentareNo Comments

La contaminazione chimica degli alimenti può verificarsi in ogni fase del processo produttivo, dalla preparazione, alla trasformazione, al consumo. Garantire la Sicurezza alimentare è, oltre che un obbligo di legge, un imperativo morale per i produttori di cibi destinati al consumo umano. Pertanto, assume una rilevanza fondamentale conoscere tutte le cause delle contaminazioni chimiche al fine di evitarle e contenerle. 

Una buona gestione della filiera produttiva riduce al minimo il rischio di contaminazioni chimiche andando a tutelare la salute del consumatore nonché la reputazione dell’azienda produttrice.

Che cosa si intende per contaminazione alimentare?

Con contaminazione alimentare facciamo riferimento alla presenza di agenti patogeni o comunque sostanze nocive per la salute all’interno degli alimenti destinati al consumo umano.

Le tipologie di contaminazione chimica degli alimenti

La contaminazione chimica degli alimenti, come si è detto, può avvenire in tutte le fasi della filiera produttiva e può essere di diverso tipo: 

  • Naturale 
  • Intenzionale 
  • Involontaria 
  • Ambientale 
  • In fase di processo 

La contaminazione naturale

Si verifica in presenza di sostanze tossiche o nocive naturalmente presenti negli alimenti, sia di origine vegetale che animale. Tali sostanze possono essere tossine, sostanze allergizzanti, antimetaboliti o altro. 

Per valutare la presenza di queste sostanze, è necessario sottoporre gli alimenti ad analisi chimiche. Per scoprire i servizi offerti dal laboratorio di Gruppo Maurizi, clicca qui. 

La contaminazione intenzionale

Si verifica in caso di aggiunta agli alimenti di sostanze previste nei processi di produzione ma in quantità non consentite. Ricordiamo che gli additivi non sono contaminanti alimentari e che per essi, in ogni caso, la normativa stabilisce limiti e soglie consentite. È pur vero, tuttavia, che oltre i limiti di concentrazione definiti dalla legge, anche gli additivi possono avere effetti nocivi, senza per questo divenire contaminanti.

La contaminazione involontaria

È la presenza nell’alimento di composti utilizzati durante la produzione primaria, per esempio residui di pesticidi e farmaci ad uso veterinario.

La contaminazione ambientale

Ha luogo laddove vi sia la presenza di fattori estranei all’alimento provenienti dall’ambiente che lo circonda o dalle superfici con cui entra in contatto, come per esempio idrocarburi, diossine, metalli pesanti, residui di composti chimici.  

L’immissione nell’ambiente di sostanze che possono contaminare gli alimenti è dovuta a diverse attività, tra le quali gli scarichi gassosi in atmosfera, l’inquinamento delle acque nel suolo e nei corsi d’acqua e l’abbandono dei rifiuti tossici sul suolo. 

Per valutare l’inquinamento ambientale derivante da agenti contaminanti è necessario effettuare un campionamento per poter poi procedere ad analisi chimiche e microbiologiche. Per scoprire i servizi offerti dal laboratorio di Gruppo Maurizi, clicca qui. 

La contaminazione in fase di processo

La contaminazione durante le fasi di processo può verificarsi in diversi modi: 

  1. La contaminazione da ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici può verificarsi conseguentemente a un riscaldamento prolungato nel tempo (fenomeno della pirolisi) o ad esposizione diretta alla fiamma per grigliatura o cottura allo spiedo; 
  2. La contaminazione da aldeide formica, fenoli e idrocarburi policiclici aromatici può derivare dai componenti del fumo che possono penetrare nell’alimento nei processi di affumicatura; 
  3. La contaminazione da nitrosammine può verificarsi in seguito a reazioni tra additivi (nitrati e nitriti) e amminoacidi in alimenti proteici salati. 

Il modo migliore per prevenire le contaminazioni degli alimenti è monitorare le fasi di processo mediante analisi chimiche e microbiologiche. Per scoprire i servizi offerti dal laboratorio di Gruppo Maurizi, clicca qui.

Come evitare che la contaminazione possa avvenire?

L’industria alimentare monitora le proprie produzioni per ridurre il rischio chimico negli alimenti. Il legislatore segue attentamente le indicazioni dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) che esprime le proprie considerazioni in base alle sempre nuove evidenze scientifiche. 

Le norme igieniche previste dalle normative europee in vigore prevedono una serie di buone pratiche da adottare quotidianamente, come ad esempio: 

  • Areare i locali di produzione spesso (mantenendo temperatura e umidità controllate) 
  • Pulire le superfici con appositi igienizzati 
  • Adottare dispositivi di protezione individuale, come guanti, cappelli, cuffie, ecc.

In quali momenti può avvenire più facilmente la contaminazione chimica degli alimenti?

Come abbiamo visto, la contaminazione degli alimenti può verificarsi in tutte le fasi della filiera produttiva. Tuttavia, bisogna fare una distinzione fra contaminazione chimica e contaminazione microbiologica.  

La contaminazione microbiologica può avvenire lungo la filiera a causa di alcune circostanze che tendono a veicolare più facilmente la contaminazione; è il caso, ad esempio, dell’operatore “disattento” che torna al lavoro senza lavarsi le mani dopo aver utilizzato i servizi igienici o dopo aver fumato una sigaretta. Così come può risultare fatale toccare gli oggetti senza i guanti, oppure tossire e portarsi le mani alla bocca per poi ritornare a manipolare gli alimenti.   

La contaminazione chimica, invece, non avviene per colpa dell’operatore alimentare, ma è sempre di origine ambientale. 

Accredia: Più risultati grazie ai certificati

By Sicurezza AlimentareNo Comments

Accredia è un’associazione riconosciuta che opera senza scopo di lucro, sotto la vigilanza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. È l’Ente Unico nazionale di accreditamento come indicato dal governo italiano ai sensi del Regolamento UE 765/2008. Lo scopo di Accredia è attestare la competenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione, verifica e validazione, e dei laboratori di prova e taratura.  

Gruppo Maurizi può vantare un laboratorio interno accreditato Accredia con il N° 1004 secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2018. 

Certificazioni e attestati migliorano le prestazioni!

La certificazione volontaria è uno strumento fondamentale per la crescita in termini di fatturato relativo a esportazione e reputazione.  

Nell’ultimo decennio, l’export dei prodotti alimentari trasformati è aumentato dell’83% e il fatturato imputabile all’export delle imprese certificate è salito al 36%, di cui il 70% imputabile ai prodotti certificati quali ad esempio DOP, IGP, STG ma non solo. 

Delle aziende certificate da Accredia, il 41.6% prevede un fatturato in crescita. Ma non solo; grazie alle certificazioni le aziende riscontrano: 

  1. Un aumento della loro reputazione in termini di valorizzazione dei prodotti;  
  2. Un maggiore controllo sulla sicurezza dei prodotti; 
  3. Il miglioramento del rapporto con i clienti e con i fornitori; 
  4. Un efficientamento dell’organizzazione. 

Le certificazioni

Se escludiamo le certificazioni DOP e IGP, soprattutto quelle legate al vino che dominano il settore agroalimentare italiano (273 prodotti alimentari, 603 vini), le certificazioni più diffuse sono quelle che riguardano:  

  • l’agricoltura biologica; 
  • ISO 9001 (per scoprire come ottenere questa certificazione grazie al supporto di Gruppo Maurizi clicca qui);  
  • IFS (International Food Standard; per scoprire come ottenere questa certificazione grazie al supporto di Gruppo Maurizi clicca qui);  
  • BRCGS (Global Standard for Food Safety; per scoprire come ottenere questa certificazione grazie al supporto di Gruppo Maurizi clicca qui).  

Queste ultime due, in particolare, sono certificazioni di grande interesse per la GDO europea per la sicurezza alimentare e del prodotto. Vediamole nel dettaglio. 

IFS

L’IFS (International Food Standard) è, infatti, lo standard di riferimento della GDO tedesca, francese e italiana. L’ultimo aggiornamento, risalente ad aprile 2023, prevede un sistema basato su 5 capitoli che implicano sia aspetti documentali e gestionali (HACCP, qualità in generale), sia aspetti legati alla struttura (locali, attrezzature aree esterne), come anche aspetti di impatto sulle persone (food safety culture, ruolo della direzione e risorse umane).  

Ogni argomento ruota comunque intorno alla garanzia della Sicurezza alimentare, e in particolare: 

  1. Responsabilità della direzione 
  2. Sistema di gestione per la qualità e la sicurezza alimentare 
  3. Gestione delle risorse 
  4. Processi Operativi 
  5. Misurazioni, analisi, miglioramento 

BRCGS

Il BRCGS (British Retail Consortium of Global Standard for Food Safety) è lo standard volontario derivante dalla GDO del Regno Unito, la cui ultima versione è applicabile dal 1° febbraio 2023. Questo standard è suddiviso in 9 capitoli con implicazioni analoghe a quelle viste per IFS che riguardano HACCP, qualità, struttura, persone e direzione, e nello specifico: 

  1. Impegno della direzione aziendale 
  2. Il piano di sicurezza alimentare – HACCP 
  3. Sistema di gestione della sicurezza alimentare e della qualità 
  4. Standard del sito 
  5. Controllo del prodotto 
  6. Controllo del processo 
  7. Personale 
  8. Aree ad alto rischio, alto controllo e alto controllo a temperatura ambiente nell’area di produzione 
  9. Requisiti per prodotti commercializzati

ISO 9001

La certificazione ISO 9001, ovvero lo standard riguardante i sistemi di gestione per la qualità, sebbene abbia visto una forte inflessione negli ultimi anni a fronte di certificazioni più complesse come IFS e BRC, risulta ancora essere uno degli standard più diffusi.  

Essendo la ISO 9001 uno standard generico applicabile a ogni contesto, si presta a essere nel settore agroalimentare un’ottima base per le certificazioni più complesse di cui sopra, così come per la ISO 22000 (Sistema di gestione per la sicurezza alimentare; per scoprire come ottenere la certificazione ISO 22000 con il supporto di Gruppo Maurizi clicca qui). La nuova versione della norma ISO 9001, pubblicata nel 2015, rafforza questo ruolo e si avvicina, come approccio, a quello degli standard maggiori.

La GDO domina il mercato dei prodotti alimentari

È importante sottolineare e ricordare che la GDO domina il mercato dei prodotti alimentari (il 94% delle famiglie intervistate ha dichiarato di fare la spesa nei supermercati o ipermercati) ed è riuscita a imporsi con due strategie che mirano a legare il consumatore in termini di affidabilità e sicurezza alimentare oltre che con il costo. La GDO ha, infatti, imposto una politica di certificazione di filiera e ha invaso il mercato con i propri prodotti a marchio privato rafforzando la fiducia del consumatore.  Al sistema dei prodotti a marchio privato sono state applicate, quindi, da tutta la GDO le certificazioni volontarie (IFS, BRC, FSSC 22000, Global G.A.P.), che vengono imposte ai fornitori insieme a controlli periodici anche a sorpresa (Audit di 2a parte).

Il primato italiano

Se il Made in Italy ha un ascendente tanto forte sui mercati internazionali lo deve anche all’ottima reputazione in termini di sicurezza alimentare che sostiene i nostri prodotti.  

Il sistema italiano di controlli sugli alimenti e sulla prevenzione da frodi è uno dei più efficaci in Europa. I dati ufficiali forniti dal Ministero della Salute dimostrano, ad esempio, che solo lo 0,4% dei prodotti controllati presentano residui chimici oltre i limiti, contro il 5,1% della media europea e il 7,9% di quella mondiale. Questi dati sono anche supportati dalle dimissioni ospedaliere per malattie infettive intestinali di alcuni Paesi europei dove il dato italiano è chiaramente il migliore sia in un arco di tempo temporale lungo, sia valutando un più recente e breve periodo. 

Questo primato italiano di prodotti di elevata qualità e apprezzati in tutto il mondo si è costruito nel tempo grazie anche a “incidenti di percorso” importanti, i quali hanno caratterizzato il cammino della normativa europea relativo all’agroalimentare verso la qualità e la sicurezza alimentare. 

Un esempio di “incidente” fu quello del vino al metanolo: era il 1986 quando scoppiò il caso che fece 19 vittime e portò al sequestro di molti ettolitri di vino, sia in Francia che in Germania. La complessa macchina a sostegno della sicurezza alimentare, in quel caso, partì proprio dalle aziende vinicole italiane, che diedero un contributo importante alla storia della qualità e sicurezza dei prodotti agroalimentari Made in Italy.  

Negli anni ‘90 fu poi la volta del caso dalla BSE che sconvolse tutta l’Europa e mieté 10 vittime nel Regno Unito. A quel punto fu chiaro a tutte le parti in causa che la normativa europea non era sufficiente a garantire la sicurezza alimentare ai propri cittadini e il giusto sostegno alle aziende serie. Da allora, la Comunità europea non si è mai fermata e ha continuato a legiferare e a vigilare in modo tale da assicurare la sicurezza alimentare e da tutelare la salute dei cittadini. 

Il ruolo di Accredia

I servizi di certificazione erogati da Accredia avvengono a seguito di una valutazione imparziale. Accredia, infatti, svolge il ruolo di “giudice super partes”, con il solo scopo di garantire il rispetto delle norme previste dalle Autorità competenti. 

Attraverso ispezioni, laboratori di prova, laboratori di taratura e certificazioni, Accredia è in grado di valutare l’affidabilità e la qualità dei prodotti sicuri prima che vengano immessi sul mercato, a tutela della salute e della sicurezza delle persone e dell’ambiente. 

Questo ruolo svolto costantemente da Accredia prova che la nostra cultura, la ricerca di fiducia verso i consumatori, le normative europee e le certificazioni volontarie hanno contribuito a consolidare un primato italiano che ci invidia tutto il mondo.

Tutte le norme per l’home restaurant

By Sicurezza AlimentareNo Comments

Quella degli home restaurant è una lacuna normativa che attende di essere colmata da molto tempo, vista l’espansione sempre più crescente di quella che comunemente è chiamata “ristorazione domestica”. Negli svariati tentativi di normare questo settore che si sono susseguiti negli anni, l’iter legislativo ha spesso incontrato diversi ostacoli lungo il proprio cammino. In questo articolo cerchiamo di ricostruire tutte le norme che regolamentano l’home restaurant.

Cosa si intende per home restaurant?

Per home restaurant si intende quell’attività di ristorazione finalizzata a ospitare eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche non all’interno di un locale, bensì in un appartamento privato in cui abbiano la residenza o il domicilio i padroni di casa, su specifica richiesta o prenotazione del cliente. 

La preparazione dei pasti avviene all’interno dell’appartamento stesso che i proprietari trasformano occasionalmente in “ristorante” per consentire ad amici, conoscenti ma anche perfetti sconosciuti (come potrebbero essere dei turisti) di sperimentare la cucina autentica del luogo.  

In verità, l’home restaurant è un’attività atipica, non può essere equiparabile del tutto all’attività di ristorazione; tuttavia, con essa condivide la preparazione e la somministrazione di pasti a clienti paganti ed è per questo che risulta fondamentale normare il settore. 

I principali punti presi in considerazione dalle proposte di legge

I tentativi di normare l’home restaurant nel corso degli anni sono stati davvero molteplici, ma ad oggi non esiste ancora una legge ad hoc. Nel 2016 fu presentata alla camera la proposta di legge C. 3258 presentata con C. 3337, C. 3725, C. 3807, approvata dalla Camera il 17 gennaio 2017 in testo unificato che doveva stabilire la “Disciplina dell’attività di home restaurant”. 

Il testo unico inquadrava innanzitutto a livello giuridico tutti i soggetti che sono parte attiva dell’home restaurant, fra cui: 

  • Il «gestore»: il soggetto che gestisce la piattaforma digitale finalizzata all’organizzazione di eventi enogastronomici; 
  • L’«utente operatore cuoco»: il soggetto che attraverso la piattaforma digitale svolge l’attività di home restaurant; 
  • L’«utente fruitore»: il soggetto che attraverso la piattaforma digitale utilizza il servizio di home restaurant condiviso dall’utente operatore cuoco. 

È interessante notare come la Disciplina non volesse normare solo l’attività in sé, ma anche le figure a essa relative, come ad esempio il gestore della piattaforma informatica incaricato di organizzare gli incontri enogastronomici.

norme home restaurant

Requisiti necessari

A differenza di un ristorante vero e proprio, in attesa di una normativa definitiva, al momento i requisiti necessari per aprire un home restaurant sono davvero minimi. Ad esempio, non serve aprire una partita iva, ma è necessario possedere requisiti professionali, dimostrando di aver lavorato per almeno due anni negli ultimi cinque nella ristorazione, di avere un diploma di scuola superiore o di istituto professionale inerente al settore alimentare, oppure di aver frequentato un corso SAB per la somministrazione di alimenti e bevande. 

A questo si aggiunga anche che, come qualsiasi altra attività commerciale, l’home restaurant deve essere praticato secondo i principi di onorabilità. Vale a dire che l’“utente operatore cuoco” deve possedere i requisiti morali previsti per qualsiasi altro soggetto che operi nella ristorazione convenzionale (ovvero, non deve avere alcuna condanna per reati di nessun tipo). 

I limiti imposti dalla normativa

Essendo una iniziativa imprenditoriale da parte di privati, nell’ambizione di diventare una vera impresa, l’home restaurant deve comunque rispettare dei limiti che lo distinguano dalla ristorazione tradizionale, verso il quale si vuole tutelare la concorrenza. In particolare: 

  1. Non può essere la fonte primaria di guadagno, dal momento che non può essere svolto in maniera continuativa ma saltuariamente; 
  2. Non è possibile ospitare all’interno dell’immobile di proprietà altre attività ricettive, come ad esempio un B&B; 
  3. Qualora nel regolamento di condominio sia espressamente indicato il divieto di attività commerciali (come potrebbe essere anche per i B&B), si fa obbligo di rispettare suddetto regolamento. 

A questi primi requisiti se ne aggiungono altri fondamentali, che riguardano il limite dei coperti, il limite del fatturato, le norme igienico-sanitarie e l’assicurazione sui rischi. 

Max 500 coperti annui

L’attività di home restaurant non può rappresentare la principale fonte di guadagno. È da considerarsi più che altro una piccola attività, un plus, dal momento che il numero di coperti annui deve rientrare nel limite massimo di 500 coperti. Ecco perché l’home restaurant non può essere in funzione continuativamente, ma solo occasionalmente, ad esempio uno o due giorni la settimana.

Limite 5000 euro annui di fatturato

Uno dei limiti più importanti per l’home restaurant è quello legato al fatturato annuo. Essendo un’attività in cui non si richiede l’apertura di partita IVA, l’imponibile massimo annuo non deve superare i 5000 euro annui. 

Norme HACCP

Sotto l’aspetto igienicosanitario, fondamentale per garantire la sicurezza alimentare, rimane qualche perplessità su quello che è stato definito nel testo “rispetto delle procedure previste dall’attestato dell’analisi dei rischi e controllo dei punti critici (HACCP) ai sensi del Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull’igiene dei prodotti alimentari”, che possiamo interpretare come l’obbligo di predisporre delle procedure basate sui principi del sistema HACCP e quindi di dotarsi di idoneo Piano di Autocontrollo. La certificazione HACCP è un requisito indispensabile ogni qual volta ci sia manipolazione degli alimenti che vengono poi destinati al consumo umano e sarebbe auspicabile che anche i ristoranti domestici la possedessero. 

Assicurazione sui rischi

Al gestore dell’home restaurant spetta la responsabilità di assicurarsi che il cuoco e l’abitazione possiedano un’assicurazione per la responsabilità civile verso i danni arrecati a terzi, erogare i servizi a pagamento solo mediante mezzi elettronici (quindi tracciabili fiscalmente), provvedere alla registrazione degli utenti della piattaforma (i cui dati dovranno essere messi a disposizione delle Autorità per i dovuti controlli). La Polizza RC tutela tutti gli attori in campo da eventuali danni oltre a consentire la deducibilità fiscale, permettendo al gestore di ridurre il valore del reddito complessivo al fine calcolare la base imponibile.

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L’aspetto igienico-sanitario

Come si è detto, dal punto di vista dell’igiene dei prodotti alimentari la proposta di legge presenta delle lacune. La normativa HACCP mette in campo un Piano di Autocontrollo che andrebbe a tutela non solo del consumatore ma anche del gestore, tenendo in considerazione un’attenta analisi dei rischi che potrebbero derivare dalla manipolazione, produzione e somministrazione degli alimenti. 

Il Ministero dello Sviluppo economico con la risoluzione n. 332573 del 21 ottobre 2016, ha evidenziato che l’attività di home restaurant, in mancanza di una disciplina specifica “non espone a problematiche significativamente maggiori o diverse dalle comuni cene ad inviti presso abitazioni private, fermo restando il potere di accesso degli operatori di P.S.”. 

Tuttavia, se l’attività viene svolta in zone tutelate, è necessario che l’home restaurant possegga un piano HACCP, impianti e strutture a norma.

L’obbligo di presentare la SCIA

Non ultimo in ordine di importanza, troviamo l’obbligo per gli “utenti operatori cuochi” di presentare digitalmente presso lo sportello del proprio Comune la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) nella quale andrà segnalato l’inizio dell’attività di home restaurant. 

Nell’ambito della SCIA vanno indicate informazioni del tipo indirizzo dell’abitazione, i metri quadri, l’eventuale presenza di parcheggi e così via. 

Si tenga anche presente che anche la struttura deve rispettare requisiti strutturali e funzionali, per esempio, impianti a norma, possibilità di utilizzare la canna fumaria, trattamento dei rifiuti, conservazione degli alimenti, ecc. 

L’unica sanzione prevista nella proposta di legge riguarda proprio la mancata presentazione della SCIA che sarà punita con una sanzione da € 1.032 a € 10.330. 

L’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

È doveroso precisare che tale proposta di legge è rimasta bloccata per l’intervento dell’AGCM. Il Garante ha infatti bocciato il disegno di leggere per gli eccessivi limiti imposti ai proprietari di casa (i “gestori”) che sarebbero in contrasto con i regolamenti europei. 

Il Garante difatti ha osservato che:  

Il legislatore intende introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant), la quale, nell’ambito dei servizi partecipati che compongono la sharing economy, risulta essere in forte espansione anche nel nostro Paese, per la forte propensione, soprattutto delle nuove generazioni, ad aprire la propria casa e a condividere la cultura enogastronomica nostrana. 

In conclusione, al momento la disciplina degli home restaurant parrebbe trovarsi in uno stallo. La mancanza di una norma in tal senso è avvertita da tutti, sia per le preoccupazioni degli esercenti di pubblici esercizi che hanno visto tagliata via una fetta importante della loro utenza, sia per le obiezioni dei consumatori più attenti che non hanno potuto fare a meno di puntare il dito sulla carenza di requisiti igienico-sanitari (di natura chiaramente solo strutturale) e soprattutto di controlli ai quali queste attività non sono per ora soggette. 

Rimaniamo quindi in attesa del testo definitivo di una norma che molti attendono con grande trepidazione. 

FSSC 22000 Food Safety System Certification Scheme 22000

By Laboratorio, Sicurezza AlimentareNo Comments

Certificazione FSSC 22000: cos’è e quali vantaggi offre?

Lo standard di certificazione volontario FSSC 22000 è uno standard di certificazione per la sicurezza alimentare redatto dalla Foundation for Food Safety Certification nel 2009, il cui obiettivo è quello di definire i requisiti di certificazione e i metodi per sviluppare Sistemi di Gestione per la Sicurezza Alimentare per le aziende di produzione alimentare, ristorazione, imprese di produzione di imballaggi, trasportatori e distributori. 

Cos’è la certificazione FSSC 22000

La certificazione per la sicurezza alimentare FSSC 22000 rientra tra gli standard privati di certificazione volontari riconosciuti dalla Global Food Safety Initiative (GFSI), come ad esempio BRC Food, IFS Food o Global Gap. Il riconoscimento GFSI consente alle imprese che decidono di certificarsi secondo la norma FSSC 22000 di avere canali di comunicazione e di qualifica aperti con i principali retailer della GDO europea e internazionale. In particolare, vi è una maggiore apertura per i canali commerciali con il Giappone, l’America Latina e i Paesi del Medio Oriente. 

Lo standard nasce dalla fusione delle norme UNI EN ISO 22000, BSI-PAS 220, e delle norme tecniche del gruppo ISO/TS 22002-4. Nella norma sono stati inseriti anche dei requisiti specifici richiesti dal comitato GFSI (ad esempio, la food fraud o la food defence), che consentono alle imprese alimentari di identificare i potenziali pericoli e di definire le azioni di mitigazione da mettere in atto per poterli gestire. 

La versione corrente della norma è disponibile in 5 lingue, scaricabili gratuitamente dal sito internet della FSSC 22000. 

A cosa serve la certificazione FSSC 22000?

Lo standard di certificazione FSSC 22000 fornisce un modello di certificazione snello, flessibile e solido a tutte le imprese alimentari che vogliono dimostrare di monitorare e gestire ad alti livelli la sicurezza alimentare.  

Tutte le aziende di produzione di alimenti, mangimi, imballaggi, nonché le aziende di commercializzazione all’ingrosso, distribuzione, trasporto e ristorazione possono certificarsi secondo questa norma, dimostrando ai propri clienti l’elevata attenzione che hanno all’interno del proprio sistema per la sicurezza alimentare e verso la salute e tutela dei consumatori

I requisiti per ottenerla

Per ottemperare a quanto previsto da questa norma a carattere volontario, le imprese alimentari devono: 

  • Nominare un Team per Sicurezza Alimentare, composto da professionisti e figure professionali multidisciplinari, con comprovata competenza ed esperienza nel settore, il cui obiettivo sarà quello di garantire la sicurezza alimentare all’interno dell’azienda e di monitorare l’efficacia del Sistema di Gestione; 
  • Individuare, valutare e controllare i rischi per la Sicurezza Alimentare potenzialmente presenti nell’azienda, in base ai principi del Sistema HACCP; 
  • Elaborare dei canali di informazione/formazione con gli stakeholders aziendali (es. fornitori, clienti, dipendenti ecc..), relativamente a questioni sulla Sicurezza Alimentare dei prodotti commercializzati; 
  • Sviluppare dei programmi interni di divulgazione della Cultura della Qualità e Sicurezza Alimentare a tutti i livelli aziendali; 
  • Implementare una attenta analisi del contesto aziendale (questioni esterne e interne), delle esigenze e aspettative degli stakeholders e dei potenziali rischi ed opportunità che possano avere impatto sul Sistema di Gestione; 
  • Promuovere e sviluppare la leadership e l’impegno della Direzione Aziendale sulle questioni legate alla Sicurezza Alimentare, attraverso l’elaborazione di una Politica per la Qualità e Sicurezza Alimentare; 
  • Valutare periodicamente le prestazioni del Sistema ed eventualmente pianificare delle revisioni atte al miglioramento continuo; 
  • Testare almeno una volta l’anno l’efficacia del Sistema di Gestione attraverso audit interni.

I vantaggi della certificazione FSSC 22000

I vantaggi della certificazione FSSC 22000 sono molteplici. Infatti, lo standard costituisce uno strumento utilissimo per tutte le imprese alimentari che vogliono: 

  1. Sviluppare un efficace Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare, facilmente integrabile con altri Sistemi di Gestione presenti nell’azienda, come ad esempio la ISO 9001, ISO 14001 o la ISO 45001; 
  2. Soddisfare le aspettative dei propri clienti in merito Sicurezza Alimentare dei prodotti a loro forniti, lungo tutta la filiera alimentare; 
  3. Gestire in maniera sistematica i Programmi di Prerequisito aziendali, attraverso una attenta e puntuale identificazione degli stessi, focalizzando la propria attenzione sulle aspettative dei clienti; 
  4. Definire una solida metodologia di analisi e gestione dei rischi basata sui principi HACCP e sulla capacità di migliorare l’efficacia e l’efficienza della sicurezza alimentare; 
  5. Definire un sistema di monitoraggi e controlli di sicurezza lungo la linea di produzione e attraverso tutta la filiera di approvvigionamento. 

A quali aziende può servire la FSSC 22000?

Lo standard si rivolge a tutte le imprese alimentari e alle aziende coinvolte nella filiera alimentare. Nello specifico possono ottenere la certificazione: 

  • Le aziende di produzione e trasformazione di alimenti e bevande; 
  • Le aziende di produzione e trasformazione di mangimi; 
  • Produttori di packaging; 
  • Aziende di ristorazione collettiva e catering; 
  • Aziende dedicate alla vendita all’ingrosso o al dettaglio di generi alimentari di qualsiasi natura; 
  • Broker e distributori; 
  • Aziende di logistica, stoccaggio e trasporto.

La pubblicazione della versione 6 ha esteso il campo di applicazione della norma ad altri segmenti della filiera alimentare, come ad esempio broker, e-commerce, trader, rendendo lo standard sempre più solido e riconosciuto a livello internazionale. 

Come ottenere la certificazione FSSC 22000?

Gruppo Maurizi può supportarti offrendoti un sopralluogo gratuito, nel quale un nostro consulente esperto per la certificazione FSSC 22000 identificherà il contesto aziendale e verificherà che i requisiti applicabili siano soddisfatti.  

Nel caso in cui non dovessero essere soddisfatti alcuni requisiti, il consulente di certificazione di Gruppo Maurizi fornirà indicazioni sulle correzioni e le azioni correttive da intraprendere. 

Se persiste la volontà di voler acquisire tale certificazione, procederemo con l’offerta per i servizi necessari per la redazione del Sistema di Gestione per la Qualità e Sicurezza Alimentare e l’ottenimento della certificazione FSSC 22000. 

Additivi alimentari: i cambiamenti UE

By Sicurezza Alimentare, VarieNo Comments

Additivi alimentari: più controlli per i ristoranti

Quello degli additivi è sempre stato un tema decisamente delicato nell’ambito del settore alimentare. Risale al 2010 l’Ordinanza del Ministero della Salute che disciplina l’uso di additivi e di sostanze gassose nella ristorazione. Da allora, per la cucina molecolare le norme si sono fatte più stringenti per garantire la sicurezza degli alimenti dei ristoranti e tutelare i consumatori. 

L’Ordinanza è nata dalle verifiche condotte da parte dei Nas su tutto il territorio nazionale in merito all’utilizzo da parte di alcuni ristoratori di miscele di additivi nella preparazione di piatti della cosiddetta “cucina molecolare” ed è stata promossa dal Ministero della Salute. 

Ristorazione e additivi nelle sostanze gassose

L’utilizzo di additivi chimici è normato dall’Ordinanza ministeriale per tutelare la sicurezza degli alimenti. La loro presenza deve essere manifestata nella lista ingredienti, informando il consumatore che potrà quindi scegliere se assumere o no quella bevanda o alimento in maniera consapevole. 

Un utilizzo degli additivi nell’ambito della cucina molecolare diverso da quanto previsto dalla legge è assolutamente vietato, considerati i danni che può causare alla salute umana. La responsabilità di vigilare sulle caratteristiche di sostanze e ingredienti impiegati nella preparazione dei pasti spetta ai ristoratori. Stando all’ordinanza, è fatto divieto di detenere e utilizzare qualsiasi sostanza in forma gassosa, eccezione degli additivi che sono stati autorizzati a livello comunitario. 

Quali sono gli additivi in forma gassosa adoperati spesso nella ristorazione?

Gli additivi alimentari ammessi nell’Unione Europea sono regolamentati dal Reg. CE 1333/2008, che elenca tutti gli additivi che si possono utilizzare senza che sia specificata una dose massima, perché si ritiene che non sussistano potenziali problemi sanitari o di salute pubblica. 

Fra gli additivi in forma gassosa più usati nella ristorazione molecolare troviamo: 

  • anidride carbonica 
  • argon 
  • elio 
  • azoto 
  • protossido di azoto 
  • ossigeno 
  • Idrogeno 

L’obbligo di informare il consumatore su additivi e allergeni

All’articolo 2 dell’Ordinanza ministeriale si legge nero su bianco l’obbligo di informare il consumatore su additivi e allergeni: 

1. Chiunque operi nel settore della ristorazione deve assicurare la corretta informazione ai consumatori sull’aggiunta di additivi e di miscele di additivi nelle preparazioni alimentari dallo stesso effettuate.
  2. Chiunque operi nel settore della ristorazione deve informare il consumatore sull’eventuale presenza di allergeni […] negli additivi e miscele di additivi impiegati. 

Tale obbligo anticipa quanto poi è stato regolamentato nel Reg.1169/11, che ricordiamo essere applicabile anche da tutte le realtà di ristorazione collettiva per la comunicazione trasparente di ingredienti ed allergeni impiegati nelle preparazioni alimentari distribuite alla collettività.

Quali sono le ragioni dietro questa ordinanza?

Il Ministero della Salute ha ritenuto di primaria importanza emanare delle “Misure urgenti in merito alla tutela della salute del consumatore con riguardo al settore della ristorazione” per disciplinare l’utilizzo degli additivi e delle sostanze gassose nella ristorazione. 

Questo vale per la ristorazione in generale, con particolare attenzione per quella molecolare, ma anche per i produttori del settore alimentare, affinché appongano sulle confezioni delle etichette recanti la lista degli ingredienti utilizzati, additivi alimentari inclusi. A vigilare che vengano rispettati gli obblighi previsti dalla normativa, i Nas eseguono costanti ispezioni, alla ricerca di eventuali irregolarità o informazioni errate.

Perché un ristoratore non può utilizzare queste sostanze e l’industria alimentare sì?

All’interno dell’Ordinanza è fatto divieto per i ristoratori di detenere e utilizzare qualsiasi additivo in forma gassosa. Questo accade perché gli additivi sono stati pensati e normati per l’utilizzo dell’industria alimentare in fase di preparazione dell’alimento.  

In particolare, si parla di additivi in riferimento agli alimenti imballati, che necessitano di mantenere integre le caratteristiche organolettiche più a lungo. In ogni caso, in fase produttiva gli additivi vengono manipolati da personale preposto e adeguatamente formato che ne conosce le modalità d’uso e i limiti previsti dalla normativa. 

 

Come aprire un ristorante o un’attività di somministrazione

By Sicurezza Alimentare, Sicurezza AmbientaleNo Comments

Come aprire un ristorante? Procedura e requisiti

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un vero e proprio fiorire di attività di ristorazione. Nonostante il periodo di crisi, l’apertura di nuovi ristoranti sembra non essersi fermata mai. Tuttavia, intraprendere questo tipo di attività senza avere chiare le idee su quali siano gli obblighi amministrativi da rispettare può risultare fatale. 

La ristorazione, infatti, ha delle regole ben precise da rispettare, a maggior ragione che entra in diretta relazione con il consumatore finale. Vediamo allora quali sono i requisiti, le autorizzazioni e l’iter burocratico che bisogna seguire per aprire un ristorante o un’attività di somministrazione. 

Aprire un ristorante o un bar: i requisiti previsti dalla legge

Per cominciare, è assolutamente necessario sapere cosa serve per aprire un ristorante o un’attività di somministrazione (bar, pub, enoteca, e così via). La legge regolamenta l’attività di ristorazione in maniera piuttosto articolata e conoscere i requisiti necessari per aprire un ristorante è indispensabile per non incorrere in sanzioni dovute al mancato rispetto degli obblighi normativi. 

I requisiti previsti dalla normativa sono di natura morale e professionale. Nel primo caso si fa riferimento all’assenza di condanne penali che prevedano la detenzione superiore a tre anni; inoltre, è necessario non essere stati dichiarati delinquenti abituali né aver subito procedimenti fallimentari. 

Fra i requisiti professionali possiamo elencare: 

  • Aver raggiunto la maggiore età ed essere capaci di intendere e di volere; 
  • Possedere almeno un diploma di scuola media superiore che preveda lo studio di materie attinenti al commercio o alla preparazione di alimenti; 
  • Aver esercitato per almeno due anni un’attività nel settore della ristorazione o della somministrazione, anche se in maniera non continuativa; 
  • Possedere la certificazione SAB, ovvero il certificato di Somministrazione Alimenti e Bevande. 

Requisiti personali e fiscali per aprire un ristorante

Oltre ai requisiti personali (morali e professionali) sopracitati, per aprire un’attività di ristorazione o di somministrazione il ristoratore deve possedere anche dei requisiti fiscali. Questi documenti fiscali consentono di osservare gli adempimenti necessari per aprire un ristorante. 

Fra i documenti fiscali il ristoratore deve prevedere: 

Requisiti di pubblico esercizio per l’apertura di un ristorante

Oltre ai documenti fiscali di cui sopra, il ristoratore deve osservare anche dei requisiti di pubblico esercizio, vale a dire dei documenti tecnici specifici senza i quali l’apertura dell’attività non può essere autorizzata. Fra questi ricordiamo: 

  1. Requisiti urbanistici ed edilizi, e nello specifico il locale deve: 
  2. rispettare tutti i vincoli storici e paesaggistici che le leggi prevedono; 
  3. essere dotato di servizi igienici per gli avventori, fruibili anche da persone portatrici di handicap.; 
  4. avere idonea metratura e deve rispettare le normative previste dall’ASL territoriale riguardo all’impianto idrico, alla canna fumaria, al trattamento dei rifiuti e alla distanza fra cucina e sala. 
  5. Manuale HACCP preparato da un professionista in maniera scrupolosa, attestante il sistema di autocontrollo effettuato per garantire la sicurezza igienica degli alimenti e obbligatorio per legge. Per approfondire i servizi di consulenza HACCP di Gruppo Maurizi clicca qui; 
  6. Possesso dei requisiti in materia di sicurezza sul lavoro e idoneità sanitaria. Per conoscere i servizi di consulenza di Sicurezza sul Lavoro di Gruppo Maurizi clicca qui. 

scia amministrativa

Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.): cos’è e come ottenerla?

Per aprire un ristorante o un’attività in cui viene effettuata somministrazione di alimenti e bevande, come ad esempio un bar, è necessario presentare una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.). 

La S.C.I.A. è un documento con il quale si autocertifica l’essere in regola del locale e con cui si effettua la segnalazione di inizio attività del ristorante al SUAP.  

Chiarito cos’è la S.C.I.A. vediamo dove presentarla. La S.C.I.A. deve essere presentata esclusivamente in modalità telematica attraverso il portale del Comune all’interno del quale stiamo aprendo l’attività o direttamente tramite il sito Sportello Unico Attività Produttive (SUAP).  

Scopri come Gruppo Maurizi può aiutarti con la tua SCIA per aprire un’attività commerciale cliccando qui. 

Notifica sanitaria del ristorante: che cos’è?

Contestualmente alla S.C.I.A. va allegata la Notifica Sanitaria o Dia Sanitaria destinata alla ASL di appartenenza. 

La DIA per apertura ristoranti è un documento in cui viene descritto attraverso un’apposita relazione il ciclo produttivo dell’attività con allegata la relativa planimetria del locale contenente le caratteristiche dei vari ambienti (zona di somministrazione, preparazione dei pasti, bagni, ecc.).

Occupazione del suolo pubblico per il ristorante: normativa e limiti

Se abbiamo intenzione di allestire anche degli spazi esterni al ristorante con tavolini e sedie dove effettuare la somministrazione (dehors), bisogna presentare apposita richiesta di concessione di occupazione del suolo pubblico al Comune di competenza, che prevede il pagamento di un canone che varia in funzione del valore dell’area utilizzata. 

Gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande possono quindi richiedere concessione di occupazione di suolo pubblico per motivi funzionali allo svolgimento dell’attività, che non comportino ampliamento della superficie di vendita, nel rispetto della legge sullo spazio pubblico in vigore.

Emissione in atmosfera: le autorizzazioni per i ristoranti

Dal punto di vista normativo, negli anni passati si è spesso fatta confusione relativamente alle canne fumarie. Tuttavia, anche i ristoranti devono rispettare i limiti delle emissioni in atmosfera previsti dalla legge. Per queste attività è infatti fatto obbligo “della captazione dei fumi e delle esalazioni provenienti dalla cottura degli alimenti mediante cappa aspirante convogliata in una canna fumaria autonoma”. 

Visto l’elevato costo di realizzazione, in questi anni alcuni ristoratori hanno preferito soluzioni alternative, come l’utilizzo del sistema a carboni attivi. 

In ogni caso, in osservanza del D. Lgs. 152/2006, è necessario presentare al Comune la dichiarazione di attività in deroga (emissioni scarsamente rilevanti), relativa alle emissioni in atmosfera prodotte dell’attività di cottura di bar e ristoranti. Per questo tipo di emissioni il gestore deve dichiarare che la propria attività o impianto ricade nell’elenco delle emissioni scarsamente rilevanti. 

La dichiarazione resta valida per tutto il tempo in cui l’attività o l’impianto vengono esercitati con le caratteristiche descritte nella dichiarazione. In caso di variazioni rispetto a quanto comunicato (nominativo del titolare, collocazione della sede operativa o legale, ecc.) va presentata una nuova dichiarazione. 

Illuminazione dei ristoranti: le autorizzazioni necessarie

Se si è pensato ad apporre insegne luminose sopra l’ingresso del ristorante è fondamentale conoscere la normativa riguardante l’illuminazione dei ristoranti. L’istallazione di insegne luminose nei ristoranti è soggetta, infatti, al rilascio di autorizzazione. 

Tale autorizzazione va richiesta mediante apposito modello, a disposizione presso lo Sportello Unico delle Attività Produttive, completo delle generalità del richiedente, della sua firma e dei dati relativi all’esercizio, al quale bisogna allegare delle fotografie frontali e panoramiche dell’esterno dell’esercizio con relative planimetrie che riproducono l’opera richiesta, firmate dal Progettista e Direttore dei Lavori.

come aprire un ristorante guida insegne luminose

Vetrine dei ristoranti: qual è la normativa sulle vetrofanie?

Se vogliamo personalizzare l’attività arricchendo con decorazioni le vetrine del ristorante, ad esempio applicando delle vetrofanie per renderlo caratteristico, o semplicemente per attrarre il cliente, anche in questo caso il titolare è tenuto a presentare una richiesta di permesso. 

Per ottenere l’autorizzazione per l’applicazione di vetrofanie i ristoranti devono presentare un modello di domanda, disponibile presso lo Sportello Unico delle Attività Produttive, allegando due foto dell’attività commerciale interessata e due bozzetti con l’indicazione del messaggio pubblicitario con relative misure. 

Impatto acustico dei ristoranti: quali sono gli obblighi da rispettare?

Il DPR 227/2011 ha previsto una possibilità di semplificazione per determinate attività come bar, ristoranti, piccoli esercizi, ecc.: nel caso in cui nei locali si dichiara di non avere musica al loro interno, si può evitare di consegnare la relazione previsionale di valutazione di impatto acustico. 

Se si hanno impianti audio, invece, è d’obbligo presentare la documentazione di cui all’articolo 8, comma 6, della legge 26 ottobre 1995, n. 447 “documentazione di impatto acustico”, predisposta da un tecnico competente in acustica in riferimento ai limiti previsti dal piano di zonizzazione acustica adottato dal Comune di Roma per quella zona.  

È, inoltre, necessario pagare la SIAE se prevediamo di diffondere musica coperta dal diritto d’autore all’interno del ristorante.

Come aprire un ristorante? Il recap

Come abbiamo avuto modo di constatare, l’apertura di un ristorante può seguire un iter piuttosto complesso e puntellato di obblighi e requisiti. Ricapitolando quanto detto, per aprire un ristorante è necessario: 

  1. Essere in possesso dei requisiti morali, fiscali e professionali; 
  2. Depositare la S.C.I.A. presso il Comune di competenza; 
  3. Presentare la DIA; 
  4. In caso di dehors esterno, richiedere l’autorizzazione di occupazione del suolo pubblico; 
  5. Rispettare i limiti previsti dalla normativa in materia di emissioni in atmosfera, installando apposite canne fumarie aspiranti; 
  6. Richiedere l’autorizzazione per apporre insegne luminose o vetrofanie; 
  7. Presentare la documentazione di impatto acustico e pagare la SIAE se si prevede la diffusione di musica all’interno del ristorante

Aprire un ristorante: fatti aiutare da Gruppo Maurizi!

Gruppo Maurizi, con i suoi più di cinquant’anni di esperienza nel settore della Sicurezza Alimentare, Ambientale e sul Lavoro, può mettere a tua disposizione un team di professionisti costantemente aggiornati con la normativa in vigore. 

Affidandoti a noi, sarai seguito passo dopo passo nella compilazione di tutta la documentazione necessaria per l’apertura del tuo ristorante o della tua attività di somministrazione, evitando il rischio di incorrere in sanzioni per la mancata presentazione dei documenti previsti dalla legge.

Coloranti alimentari: quali sono quelli tossici?

By Sicurezza Alimentare, VarieOne Comment

Coloranti alimentari: quali sono quelli tossici?

I coloranti vengono utilizzati dall’industria alimentare per rendere più estetici alcuni prodotti, come è il caso di creme colorate con cui abbellire torte e dolcetti. È opinione diffusa e comune che i coloranti alimentari siano pericolosi per la salute. Ci teniamo a sottolineare che, come ogni ingrediente e additivo usato nella filiera alimentare, anche i coloranti sono sottoposti a specifica normativa che ne definisce i modi e i limiti di utilizzo. 

Vediamo insieme, pertanto, quali sono i coloranti alimentari più pericolosi usati per rendere più attraenti gli alimenti e cosa dice la normativa a riguardo.

Il colorante E133

Sicuramente, fra i coloranti alimentari il più noto è il E133, capace di donare un blu brillante ai cibi. L’E133 è il colorante Blu Brillante FCF e rientra nell’elenco degli additivi previsti dall’allegato II del Reg. 1333/2008 e s.m.i. e nello specifico nella categoria “coloranti alimentari con limite massimo combinato”.  

Il suo utilizzo è ammesso per diverse tipologie di alimenti (per esempio gomme da masticare, bevande aromatizzate, dessert, ecc.) con limiti massimi di utilizzo diversi a seconda delle diverse categorie di alimenti. 

Fra gli altri coloranti autorizzati dall’EFSA (l’Autorità per la Sicurezza Alimentare Europea) possiamo trovare: 

  • E141 Bianco gesso 
  • E142 Blu antocianina  
  • E132 Blu indaco  
  • E160b Giallo pallido del burro e dei formaggi (E160b) 
  • E160a Arancio Beta-CarotenE 
  • E103 Giallo oro 
  • E155 Marrone HT 
  • E151 Nero Brillante BN 
  • E120 Rosso cocciniglia  
  • E181 Tannino 
  • E142 Verde S 

I coloranti che possono influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini

È importante notare che il colorante E133 non è stato classificato e valutato dall’EFSA come “colorante che può influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini”, come invece i seguenti coloranti alimentari: 

  • E110 Sunset Yellow 
  • E104 Giallo di chinolina 
  • E122 Carmoisina 
  • E129 Rosso Allura 
  • E102 Tartrazine 
  • E124 Ponceau 4R

Quali sono gli altri effetti nocivi dei coloranti alimentari tossici?

I coloranti alimentari tossici possono avere diversi effetti nocivi sulla nostra salute se adoperati in maniera inadeguata rispetto ai limiti previsti dalla legge. In particolare, questi possono causare: 

  • Reazioni allergiche, come ad esempio l’orticaria; 
  • Insonnia e in generale disturbi del sonno; 
  • Abbassamento della vista; 
  • Alterazione del comportamento, come ipersensibilità e tremori. 

Per scoprire gli effetti sulla salute dei coloranti alimentari, vi invitiamo a consultare la pagina dell’Istituto Superiore di Sanità, cliccando qui. 

Come evitare i coloranti alimentari potenzialmente nocivi?

Per evitare i coloranti potenzialmente pericolosi, è bene leggere le etichette dei prodotti prima di procedere all’acquisto. Gli additivi sono sempre compresi nella lista degli ingredienti e di solito appaiono per ultimi, ma vanno seriamente considerati, imparando prima a conoscerli. 

Li troviamo indicati in etichetta con una “E” e un numero a seguire, ad eccezione degli aromi che possono essere riportati con il loro nome esteso senza la “E”. 

Per essere completamente al sicuro da questi ingredienti, consigliamo di evitare i cibi industriali, andando a preferire piuttosto preparazioni casalinghe, magari meno appariscenti ma senza dubbio più sane.

Come vengono adoperati i coloranti nell’industria alimentare?

I coloranti presenti negli alimenti rientrano tra gli additivi normati dalla legislazione vigente e servono per migliorare l’aspetto degli alimenti. 

Generalmente, nell’ambito dell’industria alimentare, i coloranti vengono miscelati a impasti solidi e liquidi, così da restituire una colorazione uniforme sia all’esterno che all’interno e da non alterare la consistenza. In alternativa, vengono spennellati sulla superficie dell’alimento, oppure spruzzati con una bomboletta spay: in questo modo, la colorazione “artificiale” sarà presente solo all’esterno e non all’interno.

Quali sono i coloranti alimentari naturali?

Non tutti i coloranti vengono per nuocere. Infatti, l’industria alimentare non adopera solamente coloranti artificiali, ma anche coloranti naturali, che sfruttano le proprietà intrinseche di alcuni cibi. 

È il caso ad esempio di succhi vegetali, estratti da frutta e da verdura fresca; oppure dei prodotti essiccati che, se tritati, possono rilasciare dei pigmenti colorati, così come i concentrati; e poi ancora vengono utilizzate sostanze aromatiche naturali, quali paprica, zafferano, curcuma, capaci di rilasciare un colore brillante e duraturo. 

Fra i coloranti alimentari naturali che, volendo, possiamo adoperare anche in casa troviamo: 

  • curcumina (E100), colorante giallo-arancio estratto dalla curcuma; 
  • riboflavina (E101), colorante giallo presente naturalmente nel latte, ma anche in molti ortaggi verdi, in particolare cavolo e pomodoro; 
  • clorofille (E140), pigmenti verdi presenti nella maggior parte delle piante e delle alghe, assorbono fortemente la radiazione rossa e violetta, complementare al colore verde; 
  • caramello (E150), colorante impiegato in liquori, bevande analcoliche, birre, in pasticceria, nel cioccolato, nei surrogati del caffè; 
  • carbone vegetale (E153), colorante ottenuto dalla carbonizzazione di sostanze vegetali quali legno, residui di cellulosa, torba e gusci di noci di cocco o altri gusci; 
  • carotenoidi, coloranti rinvenuti nelle piante o in altri organismi fotosintetici, come le alghe ed alcune specie di batteri;  
  • antociani (E163), classe di coloranti naturali che si ritrovano nei fiori e nei frutti di quasi tutte le piante superiori e nelle foglie autunnali.
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