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Sicurezza Alimentare

Relazione sulle zoonosi dell’Unione Europea 

By Sicurezza AlimentareNo Comments

Il 13 dicembre 2022 l’EFSA (l’European Food Safety Authority) ha pubblicato il report sulle zoonosi nell’Unione Europea, che presenta i risultati delle attività di monitoraggio e sorveglianza delle zoonosi svolte nel 2021 in 27 Stati membri, nel Regno Unito (Irlanda del Nord) e in nove Stati non membri. Il report fornisce e interpreta le statistiche chiave sulle zoonosi e sugli agenti zoonotici nell’uomo, negli alimenti, negli animali e nei mangimi.  

Nel 2021, la prima e la seconda zoonosi più segnalata nell’uomo sono state rispettivamente la campilobatteriosi e la salmonellosi. I casi di campilobatteriosi e salmonellosi sono aumentati rispetto al 2020, ma sono diminuiti rispetto agli anni precedenti. Nel 2021, la raccolta e l’analisi dei dati a livello dell’UE sono state ancora influenzate dalla pandemia di Covid-19 e dalle misure di controllo adottate negli Stati membri, compresi i blocchi parziali o totali. Sedici Stati membri e il Regno Unito (Irlanda del Nord) hanno raggiunto tutti gli obiettivi stabiliti nelle popolazioni di pollame per la riduzione della prevalenza di Salmonella per le serovar pertinenti. I campioni di Salmonella prelevati da carcasse di varie specie animali e i campioni per la quantificazione di Campylobacter prelevati da carcasse di polli da carne sono risultati più frequentemente positivi quando sono stati eseguiti dalle autorità competenti rispetto ai controlli effettuati in proprio.  

La yersiniosi è stata la terza zoonosi più segnalata nell’uomo, seguita dalle infezioni da Escherichia coli produttore di tossina di Shiga (STEC) e da Listeria monocytogenes. Le infezioni da Listeria monocytogenes e da virus del Nilo occidentale sono state le zoonosi più gravi, con il maggior numero di ricoveri e i più alti tassi di mortalità. Complessivamente, gli Stati membri hanno segnalato più focolai e casi di origine alimentare nel 2021 rispetto al 2020.  

La Salmonella enterica è rimasta l’agente causale più frequentemente segnalato per i focolai di origine alimentare. La salmonella nelle “uova e prodotti a base di uova” e negli “alimenti misti” sono state le coppie agente/alimento più preoccupanti. I focolai legati a “verdure e succhi di frutta e prodotti derivati” sono aumentati notevolmente rispetto agli anni precedenti.  

Il rapporto fornisce inoltre aggiornamenti su brucellosi, Coxiella burnetii (febbre Q), echinococcosi, rabbia, toxoplasmosi, trichinellosi, tubercolosi da Mycobacterium bovis o M. caprae e tularemia. 

Campylobacter 

La campilobatteriosi è l’infezione gastrointestinale di origine alimentare più comunemente segnalata nell’UE e lo è dal 2007.  

Nel 2021, il numero di casi confermati di campilobatteriosi umana è stato di 127.840, corrispondente a un tasso di notifica nell’UE di 41,1 per 100.000 abitanti. Nel 2020, l’ECDC ha registrato il numero più basso di casi umani di campilobatteriosi in tutti gli anni dall’inizio della sorveglianza nel 2007, a causa dell’impatto della pandemia Covid-19 e del ritiro del Regno Unito dall’UE. Rispetto al tasso prima della pandemia Covid-19 (media annuale 2017-2019), il tasso di notifica dell’UE nel 2021 è diminuito del 36,1% e del 28,1%, rispettivamente con e senza i dati del Regno Unito.   

Nel 2021, 3.220 risultati “pronti per il consumo” e 14.158 risultati “non pronti per il consumo” provenienti da unità di campionamento di alimenti sono stati riportati da 12 e 16 Stati membri, rispettivamente. Nella prima categoria, lo 0,31% delle unità è risultato positivo al campylobacteras, contro il 10,9% nella seconda. Il livello più alto di contaminazione nella categoria degli alimenti “non pronti al consumo” è stato registrato nella “carne e nei prodotti a base di carne”, con l’11,9% di unità positive.  

Complessivamente, Campylobacter è stato isolato da tutte le categorie di carne fresca, con la carne di tacchini e polli da carne che hanno mostrato la più alta percentuale di unità di campionamento positive a Campylobacter, rispettivamente 12,9% e 11,5%. La stragrande maggioranza delle unità testate nell’UE (N = 10.162) provenivano da macellerie, con una percentuale di positività del 10,5%. La percentuale di unità di campionamento positive per suini, bovini e “cani e gatti” è stata rispettivamente del 41,3%, 13,5% e 12,3%. 

Salmonella 

La salmonellosi è stata la seconda infezione gastrointestinale di origine alimentare più comunemente segnalata nell’uomo dopo la campilobatteriosi ed è stata una delle principali cause di epidemie di origine alimentare negli Stati membri dell’UE e nei Paesi non appartenenti all’UE.  

Nel 2021, il numero di casi confermati di salmonellosi umana è stato di 60.050, corrispondente a un tasso di notifica nell’UE di 15,7 per 100.000 abitanti. Nel 2020, l’ECDC ha registrato il numero più basso di casi di salmonellosi umana dal 2007, anno in cui è iniziata la sorveglianza della salmonellosi. Il numero di casi è stato influenzato dalla pandemia COVID-19 e dal ritiro del Regno Unito dall’UE. Rispetto al tasso precedente alla pandemia COVID-19 (media annuale 2017-2019), il tasso di notifica dell’UE del 2021 è diminuito del 19,6% e del 23,1%, rispettivamente con e senza i dati del Regno Unito.  

La percentuale di casi ospedalizzati è stata del 38,1%, superiore a quella del 2020, con un tasso di mortalità nell’UE dello 0,18%, simile a quello del 2020. Le cinque principali salmonellaserovari coinvolte nelle infezioni umane sono state distribuite come segue:  

  • S. Enteritidis (54,6%),  
  • S. Typhimurium (11,4%),  
  • S. Typhimurium monofasica (8,8%),  
  • S. Infantis (2,0%), 
  • S. Derby (0,93%).  

Il campionamento per verificare il rispetto dei criteri di igiene del processo sulle carcasse al macello ha riscontrato le più alte percentuali di campioni positivi tra quelli raccolti dalle autorità competenti per i polli da carne (14%), i tacchini (7,4%), i suini (1,7%) e gli ovini (1,2%). Le percentuali più alte di positività sono state riscontrate per “carne e prodotti a base di carne di maiale” (0,82%) e “spezie ed erbe” (0,72%).   

Listeria monocytogenes 

La listeriosi è stata la quinta zoonosi umana più comunemente segnalata nell’UE ed è una delle malattie di origine alimentare più gravi nell’ambito della sorveglianza dell’UE. Il tasso di notifica nell’UE è stato di 0,49 per 100.000 abitanti, il 14,0% in più rispetto al tasso del 2020 (0,43 per 100.000 abitanti).  

Rispetto al tasso prima della pandemia Covid-19 (media annuale 2017-2019), il tasso di notifica dell’UE 2021 è aumentato del 4,3% e diminuito del 2,0% con e senza i dati provenienti dal Regno Unito, rispettivamente. Il tasso complessivo di mortalità nell’UE è stato elevato (13,7%), simile a quello del 2020 e leggermente inferiore a quello del 2019 (13,0% e 17,6%, rispettivamente). Le infezioni da Listeria monocytogenes sono state segnalate più comunemente nella fascia di età “oltre i 64 anni” e in particolare nella fascia di età “oltre gli 84 anni”.  

La presenza di Listeria monocytogenes fornisce un’indicazione del tasso di contaminazione ragionevolmente prevedibile in queste categorie di alimenti “pronti al consumo”. I risultati variano a seconda della categoria di alimenti “pronti al consumo”, della fase di campionamento, del numero di campioni analizzati e del numero di Paesi dichiaranti. I valori più alti (dal 2% al 5%) sono stati osservati per il pesce e i prodotti della pesca, i prodotti a base di carne di bovini o suini, la frutta e la verdura e i formaggi a base di latte di pecora. 

Le certificazioni ambientali per le imprese alimentari

By Sicurezza AlimentareNo Comments

La gestione della qualità all’interno di un’impresa alimentare è diventato un processo fondamentale, dal quale ormai le organizzazioni non riescono ad esimersi.

La costante attenzione nei confronti dei prodotti realizzati, della selezione delle materie prime, nonché dell’attenzione nei confronti delle aspettative dei consumatori sono da sempre il traino delle imprese alimentari italiane.

La crescente attenzione nei confronti della qualità del prodotto, nonché l’incremento della consapevolezza di consumatori su ciò che acquistano, hanno reso i Sistemi di Gestione per la Qualità un prerequisito per garantire trasparenza, efficienza e soprattutto propensione al miglioramento continuo.

Negli ultimi anni, il rispetto e la salvaguardia per l’ambiente hanno trovato ampio spazio nella consapevolezza del consumatore. Il consumatore predilige l’acquisto di prodotti alimentari che dimostrino di avere un ridotto impatto nei confronti dell’ecosistema, soprattutto a fronte dell’esigenza crescente di incrementare le quantità di prodotti alimentari per soddisfare il fabbisogno nutrizionale della comunità.

Viene quindi richiesto alle imprese alimentari di attuare un duplice sforzo:

  • Raddoppiare le produzioni nell’arco dei prossimi 10 anni;
  • Ridurre l’impatto ambientale delle proprie produzioni, aumentando ad esempio l’efficienza dei terreni o dei propri macchinari.

In questa ottica di efficientamento ambientale e trasparenza nei confronti del consumatore, trovano ampio spazio le Certificazioni Volontarie Ambientali.

Quali sono le principali Certificazioni Ambientali per le imprese alimentari?

Come per le certificazioni di prodotto, anche per le certificazioni ambientali sono stati pubblicati diversi standard, ai quali le imprese possono fare riferimento per dimostrare un formale impegno nei confronti dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico.

  • ISO 14001 – norma internazionale sui Sistemi di Gestione Ambientali. Con questa norma le aziende hanno la possibilità di dimostrare il proprio impegno nei confronti degli aspetti ambientali che ha ritenuto più rilevanti, nonché di verificare l’ottemperanza agli obblighi di conformità legislativa.
  • ISO 50001 – norma internazionale sui Sistemi di Gestione per il Risparmio Energetico. Lo standard definisce i requisiti minimi che un’impresa deve valutare per dimostrare il proprio impegno nell’efficientamento energetico nella propria impresa.
  • EMAS Eco-Management and Audit Scheme. L’EMAS è uno standard privato che promuove l’efficienza energetica all’interno delle organizzazioni pubbliche e private.
  • SMETA – Sedex Members Ethical Trade Audit. Lo SMETA è un audit di qualifica sviluppato dalla SEDEX ASSOCIATED AUDITOR GROUP, che permette di svolgere audit in ambito sociale ed ambientale. L’audit si basa su 4 pilastri:
    • Condizioni di lavoro;
    • Salute e sicurezza dei lavoratori;
    • Ambiente;
    • Business practices.

Alle certificazioni di Sistema, si affiancano come sempre anche delle certificazioni di prodotto, attraverso le quali le aziende possono promuovere il proprio impegno nei confronti della sostenibilità.

Tra le certificazioni etiche e di prodotto più rilevanti troviamo:

  • UNI 11233 Produzione Integrata. Lo standard consente di valorizzare sistemi di produzione agricola sostenibili, naturali e a ridotto impatto ambientale.
  • RAINFOREST ALLIANCE. E’ una certificazione di filiera applicabile al caffè, cacao, nocciole e tè. L’obiettivo dello standard è quello di certificare l’intera filiera (dai campi al consumatore) verificando il rispetto degli aspetti sociali e ambientali soprattutto nelle fasi di produzione primaria.
  • FAIR TRADE. È una certificazione internazionale che ha come obiettivo garantire il rispetto dei diritti dei produttori in termini di commercio equo e solidale, nonché di garantire il rispetto dell’ecosistema e dell’ambiente durante tutte le produzioni.
  • UTZ CERTIFICATION. È una certificazione di filiera alla pari del Rainforest, che ha come obiettivo garantire le migliori pratiche agricole che abbiano un ridotto impatto ambientale.

Chi può certificarsi secondo questi standard?

Tutti gli standard di certificazione di sistema e di prodotto elencati in questo articolo, possono essere ottenuti da tutte le imprese alimentari.

Ogni standard ha requisiti specifici, che attraverso un Sistema di Gestione per la Qualità integrato, possono essere soddisfatti, permettendo all’organizzazione di monitorare gli impatti ambientali del proprio stabilimento in un ottica continua di miglioramento.

Quali sono i vantaggi per le imprese alimentari?

Questi standard costituiscono un elemento utilissimo per tutte le imprese alimentari che vogliono:

  1. Dimostrare il proprio impegno nei confronti dell’ambiente, ottimizzando mezzi e attrezzature in un’ottica di miglioramento continuo;
  1. Soddisfare le aspettative dei propri clienti in merito alla Sicurezza Alimentare e alla Sicurezza Ambientale nella propria organizzazione;
  1. Incrementare la propria reputazione, ampliando la visibilità a livello internazionale;
  2. Definire una solida metodologia di risparmio energetico, nonché di miglioramento nell’impatto ambientale.

Come possiamo aiutarti a ottenere la certificazione?

Gruppo Maurizi può offrirti un sopralluogo gratuito nel quale un nostro specialist sarà in grado di identificare il contesto aziendale, verificando se i requisiti legali applicabili sono soddisfatti.

Nel caso in cui alcuni requisiti non siano soddisfatti, Gruppo Maurizi è in grado di fornirti indicazioni sulle azioni correttive da intraprendere.

Se persiste la volontà di voler intraprendere l’iter di certificazione procederemo con l’offerta, supportandovi con l’implementazione del Sistema e accompagnandovi in tutto il percorso di certificazione.

L’etichettatura in Brasile

By Etichettatura Alimentare, Sicurezza AlimentareNo Comments

La preparazione delle etichette dei prodotti alimentari rappresenta uno degli aspetti più importanti da tenere in considerazione quando si tratta di “esportare” il proprio prodotto: la non conformità alla normativa prevista dal mercato di destinazione può infatti produrre danni di immenso rilievo per l’azienda, che si vede ad esempio bloccato il prodotto in dogana o richiamato per non conformità ai dettami legislativi. 

Ogni Paese, e il Brasile non fa certo eccezione, è caratterizzato da procedure specifiche per l’importazione e da peculiarità dell’etichetta che differiscono da quelle del nostro mercato europeo: questo articolo si propone di dare una panoramica delle informazioni obbligatorie che devono essere riportate in un’etichetta di un prodotto alimentare destinato per il Brasile, cercando fornire i primi strumenti utili ad aziende e professionisti che vorrebbero abbracciare questo mercato di distribuzione. 

Ovviamente, tratteremo informazioni di base e obbligatorie per la maggior parte dei prodotti alimentari, destinati al commercio in territorio brasiliano, confezionati in assenza del cliente e pronti per essere offerti al consumatore, qualunque sia la loro origine.  

L’etichettatura degli alimenti confezionati è regolata specifici regolamenti, attraverso organismi quali: 

  • l’Agenzia nazionale di sorveglianza sanitaria (Anvisa) 
  • il Ministero dell’agricoltura, del bestiame e dell’approvvigionamento (Mapa)
  • l’Istituto nazionale Metrologia, qualità e tecnologia (Inmetro 

LA NORMATIVA RDC N° 727/2022

La nuova normativa brasiliana RDC N° 727/2022 prevede l’etichettatura degli alimenti confezionati ed è entrata in vigore il 1° settembre 2022.

Il cambiamento più significativo è che questa nuova risoluzione RDC n. 727/2022 soddisfa in un’unica norma i requisiti generali di etichettatura finora determinati da norme specifiche (ad esempio l’etichettatura degli allergeni, la dichiarazione sul lattosio, le istruzioni specifiche per le uova e la carne cruda, la dichiarazione del colorante tartrazina per intero e la dichiarazione sulla nuova formula). Pertanto, da settembre, saranno abrogate otto legislazioni specifiche: 

Oltre a queste modifiche, il RDC n° 727/2022 ha una struttura del testo diversa dalla struttura RDC n° 259/2022 e raccoglie elementi obbligatori che sono disposti in altri standard, fornendo una migliore comprensione dei requisiti di etichettatura.  

Il capitolo III articolo 7 della RDC n° 727/2022 indica che l’etichettatura degli alimenti confezionati debba presentare obbligatoriamente, la dichiarazione delle seguenti informazioni: 

  • Denominazione di vendita; 
  • Elenco degli ingredienti; 
  • Avvertenza sui principali alimenti che causano allergie alimentari; 
  • Avvertimento in merito al lattosio; 
  • Avvertenza in merito all’eventuale cambio di ricettazione (se necessario); 
  • Avvertenza relative all’uso di additivi alimentari (se necessario); 
  • Etichettatura nutrizionale; 
  • Contenuto netto; 
  • Identificazione dell’origine; 
  • Identificazione del lotto; 
  • Periodo di validità (la ns data di scadenza/termine minimo di conservazione); 
  • Istruzioni per la conservazione, la preparazione e l’uso degli alimenti; 
  • Eventuali altre info richieste da normative specifiche. 

Sottolineiamo come vi sono inoltre differenze anche dal punto di vista grafico/stilistico rispetto alla normativa europea: sul pannello principale dell’etichetta deve essere infatti presente la denominazione di vendita dell’alimento e la quantità nominale della confezione. 

Le informazioni sull’etichetta devono essere di un colore che contrasti con lo sfondo in maniera tale da essere visibili, con un’altezza dei caratteri (lettere e numeri) non inferiore a 1 mm se non altrimenti specificato (dichiarazione nutrizionale, quantità netta ed eventuali avvertimenti sugli allergeni seguono regole specifiche). 

Sussistono inoltre deroghe per l’omissione di alcune informazioni nel caso di alimenti con superficie principale inferiore ai 10 cm2. 

Le indicazioni devono essere in lingua portoghese ed è ammesso l’impiego di sticker che riportino le informazioni obbligatorie previste da regolamento. 

Analizziamo le diverse informazioni obbligatorie.

LA DENOMINAZIONE DI VENDITA 

Il nome del prodotto, così come l’eventuale marchio, deve essere indicato nel pannello principale dell’etichetta, che è la parte anteriore della confezione normalmente più visibile dal consumatore.  

Se presente, deve essere impiegata una specifica denominazione dettata da regolamenti atta per descrivere il prodotto (es. olio extra vergine di oliva). 

Quando l’alimento è prodotto secondo tecnologie provenienti da diverse località geografiche per acquisire proprietà sensoriali simili o caratteristiche simili a quelle tipiche di alcune regioni riconosciute, il nome del prodotto deve comparire nell’espressione “tipo”. Esempio: formaggio tipo Gorgonzola; Prosciutto crudo tipo Parma. L’espressione “tipo” deve essere presentata con lettere di uguale grandezza, evidenziando e visibilità quelle che corrispondono alla denominazione approvata nella normativa vigente nel paese di consumo. 

Il nome può contenere parole o frasi aggiuntive che informano la forma di presentazione, la condizione o il tipo di trattamento a cui è stato sottoposto, tra le altre informazioni necessarie per evitare che il consumatore sia indotto in errore. 

ELENCO INGREDIENTI 

L’elenco di tutti gli ingredienti del prodotto deve essere incluso in etichetta in ordine decrescente di peso e deve essere preceduto dalle parole “Ingredienti:” o, in forma abbreviata, “Ingr.:”.  

I prodotti costituiti da un unico ingrediente, come il riso, zucchero, uova e miele, non hanno bisogno di presentare una lista ingredienti. 

Vi sono poi regole specifiche: l’acqua deve essere sempre dichiarata, l’ingrediente composto può essere indicato in etichetta rapportando, tra parentesi, tutti i suoi componenti in ordine decrescente di peso; nel caso di miscele di frutta, verdura, spezie o piante aromatiche in cui non c’è una predominanza significativa di nessuno di loro, possono essere elencati senza seguire un ordine definito, a condizione che l’elenco di questi ingredienti sia accompagnato dell’espressione: “in proporzione variabile”, ecc.).

Gli additivi devono essere sempre dichiarati, attraverso l’indicazione della funzione tecnologica seguita da il nome completo dell’additivo oppure dal numero INS.

Attenzione: vigono poi specifiche regole per gli aromi e la loro identificazione in etichetta, che possono anche coinvolgere un cambio di denominazione del prodotto. 

ALLERGENI 

Gli alimenti ritenuti allergeni in Brasile sono i seguenti: crostacei, uova, pesce, latte, arachidi, soia, frutta a guscio (mandorla, nocciole, anacardi, noci del Brasile, noci macadamia, noci pecan, noci, pistacchi, pinoli, castagne), frumento e cereali contenenti glutine, solfiti e lattice (gomma naturale). 

Gli alimenti che contengono o sono derivati di questi alimenti devono contenere le seguenti avvertenze: 

  • ALÉRGICOS: CONTÉM (nomi comuni di alimenti che provocano allergie);
  • ALÉRGICOS: CONTÉM DERIVADOS DE (nomi comuni di alimenti che provocano allergie);
  • ALÉRGICOS: CONTÉM (nomi comuni di alimenti che provocano allergie) E DERIVADOS.

Tali avvertenze devono essere riportate immediatamente dopo o sotto l’elenco degli ingredienti e con caratteri leggibili maiuscolo, grassetto, con un colore contrastante rispetto allo sfondo dell’etichetta e con un’altezza minima di 2 mm e mai inferiore all’altezza dei caratteri utilizzata per l’elenco degli ingredienti. 

Tali indicazioni non possono essere nascoste, rimovibili o difficilmente visibili. 

Soprattutto nel caso di imballaggi con area del pannello principale uguale o inferiore a 100 cm², l’altezza minima dei caratteri è di 1 mm. 

INDICAZIONE IN MERITO AL LATTOSIO 

La dichiarazione della presenza di lattosio “CONTÉM LACTOSE” è obbligatoria negli alimenti, compresi bevande, ingredienti, additivi alimentari e ausili tecnologici, che contengono lattosio in una quantità superiore a 100 milligrammi per 100 grammi o millilitri di alimento finito (vi sono poi specifiche regole per alimenti per lattanti o formule per la nutrizione tramite sondino)

Le etichette alimentari devono riportare la dichiarazione “Contiene lattosio” immediatamente dopo o sotto l’elenco degli ingredienti con i caratteri 

leggibile che soddisfano i seguenti requisiti: 

  • maiuscolo; 
  • grassetto; 
  • colore in contrasto con il fondo dell’etichetta; 
  • altezza minima di 2 mm e mai inferiore all’altezza delle lettere utilizzata nell’elenco degli Ingredienti. 

AVVERTENZA IN MERITO ALL’EVENTUALE CAMBIO I RICETTAZIONE (SE NECESSARIO) 

Gli alimenti che subiscono modifiche nelle loro composizioni devono contenere una delle seguenti affermazioni:

  • NOVA FÓRMULA; 
  • NOVA COMPOSIÇÃO; 
  • NOVA RECEITA. 

AVVERTENZA IN MERITO A DETERMINATI ADDITIVI ALIMENTARI (SE NECESSARIO) 

Per esempio, se sono presenti edulcoranti che sono polioli deve essere inserita la specifica avvertenza “questo prodotto può avere un effetto lassativo”. 

DICHIARAZIONE NUTRIZIONALE 

Sulla scia di altri Paesi dell’America Latina e a seguito di alcune proposte di modifica da parte dell’Agenzia Nazionale Sanitaria Brasiliana (ANVISA), sono state introdotte due nuove normative in merito all’etichettatura nutrizionale per i prodotti alimentari commercializzati nel mercato brasiliano. 

Le nuove normative in merito alla dichiarazione nutrizionale sono entrate in vigore in ottobre 2022, con dei termini di adeguamento per le imprese alle nuove specifiche in etichetta: si tratta nello specifico della Risoluzione n. 429 e dell’Istruzione Normativa n. 75, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale brasiliana in data 8 ottobre 2020. 

La prima è di carattere prettamente giuridico e delinea gli ambiti di applicazione e le novità introdotte; la seconda, al contrario, è di carattere tecnico-scientifico ed è da leggere a supporto della Risoluzione.  

Viene introdotta la dichiarazione obbligatoria: 

  • degli zuccheri totali e aggiunti; 
  • del valore energetico e nutritivo per 100 g o 100 ml (prima era solo per porzione); 
  • del numero di porzioni per confezione. 

La formattazione della tabella delle informazioni nutrizionali dovrebbe: 

  • impiegare caratteri neri al 100% e linee di colore applicate su sfondo bianco; 
  • osservare i nomi dei costituenti o i loro nomi alternativi, non e il rispettivo ordine di dichiarazione, indentazione e unità di misura definito nell’allegato XI dell’istruzione normativa 75, 2020; 
  • utilizzare la spaziatura tra le righe per impedire ai caratteri di toccare la barra, le linee o i simboli di separazione, quando possibile; 
  • utilizzare il bordo di protezione, le barre, le linee e i simboli di separazione e i margini interni in conformità con il modello selezionato;  
  • seguire i requisiti specifici per la formattazione standard definiti nell’allegato XII dell’istruzione normativa – N. 75, 2020.  

La normativa prevede poi regole specifiche in merito al glossario tecnico da utilizzare, arrotondamenti ammessi, dichiarazioni di quantità non significative, ecc. 

La normativa introduce inoltre l’obbligatorietà dell’etichettatura nutrizionale frontale che è rappresentata da un simbolo informativo posto sulla parte anteriore dell’imballaggio. 

L’idea è quella di chiarire al consumatore, in modo chiaro, diretto e semplice, l’eventuale alto contenuto di sostanze presenti nel prodotto. ANVISA ha sviluppato un design a «lente di ingrandimento» per identificare l’alto contenuto di 3 nutrienti:

  • Zuccheri aggiunti; 
  • Grassi saturi; 
  • Sodio. 

Tale indicazione dovrà essere riportata sulla parte alta e frontale del pack (area facilmente catturabile dallo sguardo). 

L’applicazione delle FOP è prevista quando sono superati i seguenti valori soglia: 

  • Zuccheri aggiunti: ≥ 15g per 100 g i prodotti solidi, ≥ 7,5g per 100 ml  
  • Acidi grassi saturi: ≥ 6 g per 100 g i prodotti solidi, ≥ 3g per 100 ml 
  • Sodio: ≥ 600 mg per 100 g i prodotti solidi, ≥ 300 mg per 100 ml 

Questi simboli devono seguire i modelli definiti nel INSTRUÇÃO NORMATIVA 75/2020.

Sono state stabilite tre diverse scadenze per l’adeguamento:  

  • fino al 9 ottobre 2023 (12 mesi dalla data di entrata in vigore del principio) per alimenti in genere;  
  • fino al 9 ottobre 2024 (24 mesi dalla data di entrata in vigore del principio) per alimenti prodotto da un agricoltore o imprenditore a conduzione familiare famiglia rurale, impresa economica solidale, microimprenditore individuale, piccola agroindustria, agroindustria artigianale e agroalimentare artigianale; e  
  • fino al 9 ottobre 2025 (36 mesi dalla data di entrata in vigore del principio) per bevande analcoliche in imballaggi a rendere, osservando il graduale processo di sostituzione dell’etichetta. 

Secondo l’art. 50, § 4, della RDC n. 429/2020, i prodotti realizzati durante il periodo di adattamento, le cui etichette siano ancora conformi alla RDC n. 360/2003, possono essere commercializzati fino al termine della loro data di scadenza. Gli alimenti prodotti dopo la scadenza del periodo di adattamento devono soddisfare pienamente i requisiti di etichettatura contenuti nella RDC n. 429/2020 e IN n. 75/2020. 

INDICAZIONE DELLA QUANTITÀ NETTA

L’Ordinanza Inmetro n.  249/2021 stabilisce il modo di esprimere l’indicazione quantitativa del contenuto di prodotti preconfezionati, cioè quelli che già escono dall’industria nel confezionamento con contenuto standardizzato. 

L’unità di misura da utilizzare sull’etichetta dipenderà dal tipo di misura (massa o volume) come da seguente tabella: 

Nel campo visivo principale deve comparire l’indicazione quantitativa del contenuto netto in un colore contrastante con lo sfondo.  L’altezza dei caratteri varia in base a specifiche regole previste nell’Ordinanza Inmetro. 

ORIGINE 

L’identificazione dell’origine del prodotto è l’insieme di informazioni che consente al consumatore ed a organismi di controllo l’identificazione dell’azienda e dei suoi dati di registrazione. È necessario informare l’acquirente in etichettatura in merito a: 

  1. il nome (ragione sociale) del fabbricante o produttore o frazionatore o titolare (titolare) del marchio;  
  2. l’indirizzo completo; 
  3. il paese di origine e il comune;  
  4. il numero di registrazione o codice identificativo dello stabilimento di fabbricazione presso l’organismo competente; 
  5. il nome (ragione sociale) e l’indirizzo dell’importatore, nel caso di alimenti importati.  

Per identificare l’origine deve essere utilizzata una delle seguenti espressioni: I – “Fabbricato in…”; II – “Prodotto…”; oppure III – “Industria…”. 

LOTTO

Il criterio di definizione del lotto è dato dall’azienda. Per identificare il lotto nel prodotto, viene generato un codice, generato dall’azienda, preceduto dalla lettera “L” o dalla data di data di fabbricazione o di scadenza del prodotto. 

DATA DI SCADENZA 

La data di scadenza indica il periodo durante il quale lo stabilimento garantisce che il prodotto mantiene la sua qualità e può essere consumato senza rischi. Se non è previsto altrimenti in apposito regolamento tecnico, l’indicazione della data di scadenza deve contenere almeno: 

  • il giorno e il mese, per i prodotti che hanno una data di scadenza uguale o inferiore a tre mesi; 
  • mese e anno, per i prodotti che hanno una data di scadenza superiore a tre mesi. Se il mese di scadenza è dicembre, basta indicare l’anno, con l’espressione “fine di … (anno)”. 

La data di scadenza deve essere dichiarata utilizzando una delle seguenti espressioni: 

  1. a) “consumir antes de…”;
  2. b) “válido até…”;
  3. c) “validade…”;
  4. d) “val:…”;
  5. e) “vence…”;
  6. f) “vencimento…”;
  7. g) “vto:…”;
  8. h) “venc:….”; ou
  9. i) “consumir preferencialmente antes de…”.

Tali informazioni devono essere stampate in etichetta in maniera indelebile e precisa: se stampate in un punto differente, deve essere indicato in etichetta (es: data di scadenza: vedi coperchio). 

CONDIZIONI DI CONSERVAZIONE, D’USO E IMPIEGO 

Su etichette di imballaggi alimentari che richiedono condizioni speciali per la conservazione deve essere inserita una didascalia con caratteri molto leggibili, indicando le precauzioni necessarie per mantenere le sue normali caratteristiche, le temperature massime e minime per la sua conservazione e il tempo in cui il produttore, produttore o frazionatore garantisce la sua durata in queste condizioni.  

Se necessario, l’etichetta dovrebbe contenere istruzioni sul modo appropriato di utilizzo prodotto, che includono, ad esempio, linee guida per la ricostituzione, lo scongelamento o il trattamento che deve essere prestato dal consumatore per il corretto utilizzo del prodotto. 

Sistemi di Gestione per la Sicurezza Alimentare e Cultura della Sicurezza Alimentare: le novità introdotte dalla Comunicazione 355/2022 del 16 settembre 2022

By Sicurezza AlimentareNo Comments

Il 16 settembre 2022 è stata pubblicata la Comunicazione della Commissione Europea 2022/C 355/01, che revisiona e sostituisce la Comunicazione della Commissione Europea 2016/C 278/01.

La pubblicazione di questo testo avviene a seguito dei numerosi aggiornamenti normativi cogenti e volontari che sono stati pubblicati successivamente al 2016 e che hanno coinvolto la sicurezza alimentare e in linea generale hanno avuto grande impatto sui principi dei Sistemi di Gestione per la Sicurezza Alimentare.

Il documento viene pubblicato proprio per allineare la Comunicazione del 2016 ai principali aggiornamenti normativi cogenti pubblicati nel 2020 e 2021. Infatti, questo nuovo documento ufficiale rimarca quanto scritto nella revisione del 2020 del Codex Alimentarius, nel Regolamento UE 2021/382, nei vari pareri tecnici pubblicati dall’EFSA nel 2017 e nel 2018 ed abbraccia le novità introdotte dalla nuova versione della norma internazionale ISO 22000:2018.

Essendo una Comunicazione della Commissione Europea e non un Regolamento, non è un documento giuridicamente vincolante; tuttavia, fornisce degli ottimi e validi strumenti agli OSA e alle Autorità Competenti per comprendere meglio alcuni requisiti di legge e saper applicare un efficace programma di Cultura per la Sicurezza Alimentare.

Questo aspetto viene chiarito subito nell’articolo 2 “Scopo e Ambito di Applicazione”, nel quale viene chiaramente espresso che “lo scopo del presente documento è facilitare e armonizzare l’applicazione dei requisiti UE in materia di corrette prassi igieniche (GHP) e di procedure basate sui principi del sistema dell’analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo (HACCP)”.

Ma vediamo insieme quali sono le principali novità introdotte.

RELAZIONI TRA FSMS, PRP, GHP, PRPOP E HACCP

Con l’art.5 la Commissione Europea ha voluto facilitare la comprensione della stretta connessione che c’è in tutte le imprese alimentari tra GHP, PRP, PRPOP e CCP.

Negli anni è emerso che spesso nelle imprese alimentari vi fosse un grandissimo divario tra le GHP e i CCP per affrontare i pericoli più significativi. Proprio per questo motivo, viene introdotto un nuovo approccio per la gestione dei rischi legati alla sicurezza alimentare, basato su una più ampia categorizzazione delle misure di controllo attuabili da un OSA, ovvero:

· Corrette Prassi Igieniche (GHP) o Programmi di Prerequisito (PRP): una serie di condizioni e misure preventive fondamentali e imprescindibili applicate in qualsiasi fase della catena alimentare e chiaramente descritte nel documento CXC 1-1969 del Codex Alimentarius General principles of food hygiene;

· Programmi di Prerequisiti Operativi (PRPop): introdotti dalla norma ISO 22000:2018, sono delle misure di controllo attuate per prevenire o ridurre ad un livello accettabile un pericolo significativo per la sicurezza alimentare in una determinata fase del processo produttivo;

· Punti Critici di Controllo (CCP): fase del processo nella quale può essere messo in atto un controllo essenziale per prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile un pericolo per la sicurezza dell’alimento.

Gli OSA possono continuare ad adottare un approccio a 2 fasi (PRP/CCP), che è il requisito minimo di legge. Nelle imprese più complesse e con un maggior rischio per la sicurezza alimentare, è auspicabile utilizzare un approccio a 3 fasi, che consenta di identificare PRP, PRPop e CCP.

FLESSIBILITÀ

Il concetto di flessibilità in termini di sicurezza alimentare non è nuovo.

Il considerando 15 del Regolamento 852/04 dice che le procedure predisposte, attuate e mantenute nel tempo dagli OSA basate sui principi dell’HACCP siano abbastanza flessibili per poter essere applicati in qualsiasi situazione, comprese le piccole imprese.

Nella Comunicazione questo concetto viene ripreso e sottolineato in più punti. Il legislatore non si aspetta più di trovare documenti statici, rigidi e sovraccarichi di monitoraggi e registrazioni che quindi l’OSA riesce a portare avanti con fatica, o peggio ancora, che non riesce proprio a portare avanti.

Una volta definite le differenze in termini di rischio a seconda della natura dell’attività alimentare svolta, è possibile semplificare alcuni requisiti, così da poter applicare le procedure descritte nel Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare in ogni situazione.

L’obiettivo non è quello di ridurre il numero di CCP, ma quello di redigere documenti di autocontrollo appropriati ai vari contesti aziendali e alle risorse realmente presenti in azienda.

Ma come è possibile capire quando è applicabile in concetto di flessibilità?

Nell’Art. 5, paragrafo 2, lettera g) del Regolamento 852/04 vengono chiaramente definiti i due criteri principali che consentono di capire se un’OSA è ammissibile al concetto di flessibilità:

1. La natura dell’impresa alimentare: ovvero la tipologia di lavorazioni effettuate (es alimenti pronti, lunghezza della catena di approvvigionamento, trasformazione, confezionamento, esclusivamente stoccaggio o trasporto di alimenti confezionati ecc), la tipologia di alimenti manipolati (alimenti vegetali, di origine animale, ecc.), o la realizzazione di alimenti per specifiche categorie di consumatori (soggetti allergici, lattanti ecc);

2. La dimensione dell’impresa alimentare: intesa come volume di produzione, quantità di operatori, quantità di siti produttivi.

Presi singolarmente, questi due concetti ci aiutano a capire se le procedure basate sul sistema HACCP possono essere semplificate oppure no.

Come detto in precedenza, il concetto di flessibilità viene ripreso in più punti all’interno della Comunicazione. Troviamo alcuni esempi nell’Allegato I, quando si parla di GHP e delle relative misure di controllo, come ad esempio la possibilità di ridurre i controlli in accettazione alla semplice verifica dell’integrità degli imballi e all’assenza di imballi danneggiati, nonché ad un controllo visivo delle temperature al momento della consegna.

Anche nell’Allegato 2 viene ripreso il concetto di flessibilità. L’approccio semplificato può essere utilizzato nell’analisi dei pericoli, accorpando i pericoli più significativi nella stessa categoria, laddove le misure di controllo e monitoraggio siano le stesse.

Sempre in un’ottica di flessibilità e semplificazione dei processi per le piccole imprese alimentari, viene introdotta chiaramente la possibilità di avvalersi di consulenti esterni e professionisti del settore per redigere documenti flessibili, chiari e calzanti sulle attività realmente svolte all’interno dell’Azienda. Ovviamente l’OSA dovrà sempre dimostrare di conoscere le modalità di funzionamento del proprio FSMS e di monitorarne

l’applicazione all’interno dell’impresa posta sotto il proprio controllo, ad esempio con verifiche periodiche in campo o mediante un check giornaliero ad inizio e fine produzione.

L’analisi dei pericoli contenuta nel piano HACCP può essere semplice e descrivere in modo generico i metodi di controllo dei pericoli, senza entrare nel dettaglio degli stessi.

Nell’Allegato 2 viene fornito anche un esempio di una possibile analisi dei pericoli semplificata:

Figura 1: analisi dei pericoli per studi HACCP semplificati (Allegato 2)

CULTURA DELLA SICUREZZA ALIMENTARE

Nell’autunno del 2020, con la pubblicazione del documento CXX 1-1969 General priciples of food hygiene, e nel marzo 2021 con la pubblicazione del Regolamento UE 2021/382, viene introdotto il concetto di cultura della sicurezza alimentare anche nel mondo nella normativa cogente.

Il concetto di Cultura della Sicurezza Alimentare non è nuovo agli addetti ai lavori. Infatti, era stato già introdotto nell’agosto 2019 con la pubblicazione dello standard internazionale BRCGS Food 8 e ripreso nel luglio 2021 con la pubblicazione dello standard IFS Food v.7.

Anche per questo aspetto, quindi, la normativa cogente si allinea con gli standard di certificazione volontari, con l’obiettivo di migliorare ed accrescere le prestazioni dei Sistemi di Gestione aziendali.

Secondo il Regolamento UE 2021/382, affinché sia elaborato un piano della cultura della qualità efficiente, lo stesso deve garantire:

· Impegno da parte della Dirigenza e di tutti i dipendenti coinvolti in una qualsiasi fase del processo produttivo;

· Ruolo guida da parte della Dirigenza nella produzione di alimenti sicuri e nel garantire il coinvolgimento di tutti i dipendenti nelle prestazioni dei processi produttivi;

· Consapevolezza da parte di tutti i dipendenti dell’azienda del proprio ruolo e della relativa importanza nel garantire la produzione di alimenti sicuri;

· Comunicazione aperta e chiara tra la Dirigenza e tutti i dipendenti;

· Disponibilità di un numero e di una quantità adeguata di risorse per ottenere alimenti sani (intese non solo come risorse umane, ma anche attrezzature, macchinari ecc).

Per quanto lo sviluppo di un piano di cultura della qualità e sicurezza alimentare sia soggettivo, la Comunicazione ci fornisce all’interno dell’Appendice 3 alcuni strumenti utili sia agli OSA che alle Autorità Competenti. Uno strumento molto utile, soprattutto nelle grandi aziende che operano in più siti operativi, può essere un questionario a domande multiple da sottoporre a tutti, per valutare la percezione del grado di coinvolgimento ed elaborare delle strategie mirate atte a incrementare la cultura della sicurezza alimentare aziendale.

Figura 2: check list per valutare il grado di Cultura della Sicurezza Alimentare (Allegato 3)

Anche in questo caso viene data la possibilità di adottare un piano flessibile per le piccole imprese alimentari. Come avviene per lo studio HACCP, il piano di Cultura della Sicurezza Alimentare dovrà essere commisurato alle reali risorse presenti in azienda. Le dimensioni aziendali e la scelta della semplificazione, quindi, non potranno essere una giustificazione per la mancata applicazione di un piano di Cultura della Sicurezza Alimentare, che con questo documento è diventato un requisito legislativo fondamentale verificabile dalle Autorità Competenti in sede di audit.

AUDIT AUTORITA’ COMPETENTI

L’allegato 3 al documento è stato redatto per fornire alle Autorità Competenti orientamenti nell’elaborazione degli audit sui Sistemi di Gestione per la Sicurezza Alimentare (FSMS) sia per aziende complesse che per aziende che adottano un regime semplificato, senza eliminare o modificare in nessun modo il Regolamento UE 625/2017.

Le Autorità Competenti avranno la possibilità di effettuare 2 tipologie di audit:

· Audit Completo: un audit approfondito su tutti gli aspetti operativi e documentali dell’impresa posta sotto il controllo.

· Audit parziale: generalmente effettuato a seguito di un audit completo, per approfondire alcuni spetti specifici (es tracciabilità, sanificazione, formazione ecc..), oppure condotto come follow-up a seguito di rilievi gravi emersi nel corso dell’audit precedente.

I controlli ufficiali potranno essere notificati, laddove questo sia necessario a garantire un corretto svolgimento dell’ispezione. Nell’Appendice 6 viene riportato un esempio di comunicazione ufficiale, che può essere adottata dalle Autorità Competenti designate al controllo.

Un aspetto rilevante di questa comunicazione è che all’interno dell’Allegato 3 ci sono due paragrafi specifici dedicati a:

· Flessibilità

· Cultura della Sicurezza Alimentare

Questo si è reso necessario, poiché non erano ancora stati fornitori degli strumenti ufficiali per verificare la corretta applicazione di questi due processi, che come possiamo vedere ad oggi rappresentano un punto saliente per la sicurezza alimentare.

Una conoscenza approfondita del documento consente agli OSA di saper applicare al meglio i requisiti legali superando con esito positivo eventuali controlli da parte delle Autorità Competenti.

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BRC GLOBAL STANDARD FOOD VERSIONE 9: la guida completa su tutte le principali novità introdotte dalla nuova versione

By Sicurezza AlimentareNo Comments

È stata pubblicata il 01 Agosto 2022 la nuova versione dello standard BRC Food. Lo standard è stato pubblicato nella versione numero 9 e sarà obbligatoria per tutte le aziende certificate a partire dal 1° febbraio 2023. Tutti i certificati emessi, a fronte di audit effettuati prima di tale data, saranno relativi all’edizione n.8.

Sono quindi stati previsti alcuni mesi di transizione, per consentire a tutte le imprese alimentari certificate e agli Enti di Certificazione di potersi formare sullo standard e poter adeguare il proprio Sistema di Gestione alla nuova versione.

In questo articolo vedremo insieme quali sono le principali modifiche introdotte con questa nuova versione e cosa devono fare le imprese alimentari per adeguare il proprio Sistema di Gestione.

Da una prima lettura, è già chiaramente visibile una maggiore chiarezza nella redazione dei requisiti, nonché nella fruibilità dell’interpretazione dei vari capitoli. Tale chiarezza è sicuramente frutto della collaborazione del Comitato Tecnico Consuntivo (TAC) con i vari stakeholders coinvolti nella consultazione pubblica avviata negli scorsi mesi, durante la quale sono emersi numerosi spunti di miglioramento e particolare attenzione su alcune questioni emergenti per le imprese alimentari.

Confermati anche in questa edizione i requisiti fondamentali, ovvero requisiti del sistema di gestione considerati cruciali per la definizione e il funzionamento del Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare. I requisiti sono sempre gli stessi dell’edizione n.8 e sono contrassegnati con una stella:

1. Impegno della Direzione Aziendale e Miglioramento Continuo (1.1)

2. Il piano di sicurezza alimentare – HACCP (2)

3. Audit Interni (3.4)

4. Gestione dei fornitori di materie prime e imballaggi (3.5.1)

5. Azioni correttive e preventive (3.7)

6. Tracciabilità (3.9)

7. Layout, flusso del prodotto e segregazione (4.3)

8. Ordine e igiene (4.11)

9. Gestione degli allergeni (5.3)

10. Controllo delle operazioni (6.1)

11. Etichettatura e controllo delle confezioni (6.2)

12. Formazione: aree destinate a movimentazione di materie prime, preparazione, trasformazione, confezionamento e stoccaggio (7.1)

Principali novità

In questa edizione il Comitato Tecnico Consuntivo ha voluto incrementare il coinvolgimento della Direzione Aziendale in tutti i processi, con particolare attenzione all’implementazione del programma di Food Safety Culture (già introdotto nella versione 8).

L’attenzione del Comitato Tecnico si è concentrata su:

· Incrementare la comprensione dei requisiti necessari ad implementare il programma di Food Safety Culture;

· Garantire la compatibilità del Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare con i principi generali del Codex Alimentarius;

· Ampliare le possibilità di audit, includendo la possibilità di audit da remoto;

· Incrementare l’attenzione sugli audit interni e le ispezioni in campo;

· Rimarcare la necessità di condurre un’analisi delle cause profonde in caso di non conformità;

· Ampliare il campo di applicazione dello standard anche ai prodotti di origine animale.

Il requisito 1.1.2 è stato completamente riscritto. Il nuovo requisito presenta ora chiare indicazioni circa le modalità di definizione del programma di Food Safety Culture e le evidenze oggettive che la Direzione Aziendale deve elaborare per dimostrare il miglioramento continuo del processo.

A conferma dell’importanza del coinvolgimento della Direzione Aziendale, nel requisito 1.1.11 viene sottolineata l’esigenza della sua partecipazione durante le fasi salienti degli audit di certificazione. Infatti, la Direzione Aziendale dovrà prendere parte ai meeting di apertura e di chiusura. Inoltre, dovrà rendersi disponibile per discutere con l’auditor il programma di Food Safety Culture e la sua reale implementazione all’interno dell’impresa posta sotto il suo controllo.

Programmi di Audit

La grande novità di questa versione consiste nell’ampliamento delle possibilità di audit di certificazione messe a disposizione delle aziende alimentari.

Sono previste 3 diverse opzioni di audit:

· Programma di audit annunciato: l’azienda ha la possibilità di condurre audit annunciati, concordando con l’Ente di Certificazione le date in cui eseguire la verifica. Tuttavia, nel triennio deve essere previsto un audit non annunciato, così come richiesto dalle normative GFSI nel 2021. L’azienda dovrà quindi concordare con l’Ente di Certificazione l’anno in cui potrà essere condotto l’audit non annunciato, che si svolgerà con le modalità definite all’interno dello standard.

· Programma di audit annunciato in modalità mista: Assoluta novità rispetto alle versioni precedenti, che consente alle aziende di svolgere l’audit in parte in modalità telematiche e in parte in campo. Rimane l’obbligo di condurre almeno un audit non annunciato ogni 3 anni. Con questa modalità l’audit sarà composto di due parti: una da remoto per la verifica documentale, una in presenza per la verifica in campo. Il vantaggio offerto da questa opzione è quello di avere una maggiore flessibilità nel calendario di audit, anche se ad oggi risulta possibile solo per audit di rinnovo e non per audit iniziali.

· Programma di non annunciato: Si conferma la possibilità di condurre tutti gli audit in modalità non annunciata, fornendo maggiori garanzie ai clienti rispetto alla validità della certificazione.

L’audit non annunciato può essere effettuato in qualsiasi momento entro i 4 mesi del ciclo di audit, inclusi i 28 giorni di calendario prima dell’audit due date. L’azienda può selezionare fino a 10 giorni di calendario all’interno di questo intervallo, nei quali non è possibile condurre l’audit (ad esempio per audit annunciati di clienti, festività, interventi di manutenzione programmata).

Campo di Applicazione dello Standard

Anche il Campo di Applicazione dello standard ha subito alcune modifiche e integrazioni.

La nuova edizione si applica a tutte le imprese alimentari che si occupano di realizzazione, trasformazione e confezionamento di:

· Alimenti trasformati, a proprio marchio o private label;

· Materie prime o ingredienti utilizzate nelle imprese alimentari, catering o produttori di alimenti;

· Alimenti derivanti dalla produzione primaria (ad esempio frutta e verdura);

· Pet Food e Mangimi;

· Alimenti di origine animale derivanti dalla produzione primaria.

Nell’Appendice 1 sono state ridefinite tutte le informazioni necessarie alle imprese alimentari e agli Enti di Certificazione per definire il campo di applicazione dello standard, agevolando quindi il processo di certificazione stesso.

Position Statements

Per la prima volta viene inserito all’interno del documento il concetto di position statement. Nel ciclo di vita di applicazione dello standard, il Comitato Tecnico Consuntivo si riserva la possibilità di rivedere o riformulare alcuni requisiti, oppure di fornire delle linee guida interpretative a disposizione degli addetti ai lavori. Queste rielaborazioni prendono il nome di position statements, hanno effetto vincolante sul processo di certificazione e sono da considerarsi un’estensione dello standard stesso. Diventa quindi una fase fondamentale del processo di certificazione l’aggiornamento continuo sullo standard, nonché i momenti formativi che tutte le parti interessate (Direzione Aziendale, Responsabili Qualità, Responsabili del piano di autocontrollo) devono portare avanti in modo continuativo per seguire l’evoluzione della norma nel tempo.

Requisiti aggiuntivi

Sono stati introdotti alcuni nuovi requisiti, che si applicano a tutte le imprese alimentari, con alcune eccezioni.

Il requisito 5.8 si applica solo ai siti che trasformano, producono o confezionano pet food o mangimi. Il requisito è stato completamente riscritto, approfondendo alcuni aspetti operativi.

È completamente nuovo, invece, il requisito 5.9, che definisce le modalità di produzione e prima trasformazione dei prodotti di origine animale (estensione del campo di applicazione).

Anche il capitolo 8 è stato riscritto, fornendo nuove indicazioni circa i requisiti che le strutture di produzione ad alto rischio devono rispettare. Nell’Appendice 2 alo standard, sono indicate le modalità di valutazione e definizione di queste aree. Non è più presente l’albero decisionale introdotto nell’edizione 8, ma è riportata una chiara definizione di:

· Strutture ad alto rischio;

· Strutture ad alto controllo;

· Strutture ad alto controllo a temperatura ambiente.

Infine, per chi volesse introdurre nel campo di applicazione i prodotti commercializzati, ovvero prodotti che non vengono realizzati, trasformati, rilavorati o confezionati nel sito oggetto dell’audit,

c’è la sezione n.9. Rimane la possibilità di introdurre questi prodotti nel campo di applicazione del certificato, purchè siano introdotti tutti. Non sarà più possibile includere alcuni prodotti ed escluderne altri. Laddove invece l’organizzazione avesse prodotti commercializzati, ma non volesse includerli nel campo di applicazione del certificato, ciò dovrà essere registrato nel rapporto di audit sotto forma di esclusione dal campo di applicazione.

Come possiamo aiutarti ad adeguare il tuo sistema di gestione alla nuova versione dello standard?

I prossimi mesi saranno fondamentali per tutte le aziende già certificate per adeguare il loro sistema di gestione alla norma ed arrivare pronti al 1° febbraio 2023, soprattutto in virtù dell’obbligo di esecuzione di un audit non annunciato nel triennio.

Gruppo Maurizi può supportarvi attraverso un sopralluogo gratuito di un nostro tecnico esperto in certificazione, nel quale identificheremo il contesto aziendale, valuteremo la documentazione del Sistema di Gestione e vi forniremo indicazioni sugli step successivi sia operativi che documentali. 

Shelf life e validazione dei processi di conservazione degli alimenti

By Sicurezza AlimentareNo Comments

L’esecuzione di prove di shelf life (o test di durabilità) è una delle metodiche più frequentemente utilizzate per verificare la durabilità nel tempo di un prodotto. L’obiettivo è di monitorare il processo di degradazione attraverso la verifica di indicatori di tipo chimico, microbiologico e sensoriale su campioni di riferimento conservati a questo scopo.

Le analisi

Generalmente i campioni sono costituiti da una serie di prodotti in confezione integra ed appartenenti allo stesso lotto. Per valutare le condizioni di partenza viene prevista una prima prova subito dopo la produzione, considerato come “tempo zero” (t00); in seguito sono analizzati a cadenza prestabilita i successivi campioni, mantenuti in condizioni di conservazione definite e controllate. E’ anche possibile prevedere analisi su prodotti prelevati direttamente dai punti vendita, in modo da verificare le condizioni durante la fase di commercializzazione. La progettazione del protocollo analitico deve prevedere, oltre ai parametri da valutare, i tempi di esecuzione delle prove. Maggiore è il numero delle prove, maggiore sarà l’attendibilità dei risultati, ma maggiori saranno anche i costi da sostenere. Oltre al tempo zero (t00) generalmente si consiglia di effettuare almeno tre prove distribuite uniformemente durante il periodo di conservazione previsto (t01-t02-t03). Per garantirsi un margine di sicurezza è buona norma prevedere che l’ultima prova venga eseguita oltre il periodo di durabilità prevista. In funzione dei risultati ottenuti nel corso delle prove sarà sempre possibile effettuare delle variazioni rispetto ai tempi di analisi inizialmente previsti.  

Le criticità

Le condizioni di conservazione dei campioni durante le prove devono essere valutate attentamente, in quanto non è sufficiente prendere in considerazione le sole condizioni di conservazione previste dal produttore ed indicate in etichetta. Lo studio dovrà considerare realisticamente eventuali condizioni di conservazione non idonee, che potrebbero avvenire prevedibilmente durante le varie fasi di commercializzazione (es. stoccaggio, trasporto, esposizione nei punti vendita), in particolare per quanto riguarda le temperature. La stessa conservazione domestica può essere considerata una fase critica; è stato infatti dimostrato come buona parte dei frigoriferi domestici vengano mantenuti normalmente a temperature di 6/8°C.  

Un esempio

Un esempio pratico potrebbe essere uno studio di shelf-life per prodotti deperibili refrigerati che deve tenere in considerazione il fatto che nella vita commerciale vi possono essere fasi (es. trasporto, vendita, stoccaggio, …) con innalzamenti accidentali di temperatura oltre i limiti previsti, detti di “abuso termico”. Il modo più semplice di considerare questi eventi è di simulare “le peggiori condizioni”, conservando i prodotti a temperature di “abuso” per tutta la durata delle prove, ad esempio a 6/8°C per prodotti refrigerati da conservare normalmente a 0-4°C. Un altro sistema è di variare le temperature di conservazione in modo da simulare le varie fasi di commercializzazione; ad esempio è possibile prevedere una conservazione a 4°C per il primo 70% di tempo (corrispondente alla fase di stoccaggio in cella e di vendita in condizioni idonee) e 8°C per l’ultimo 30% del tempo (corrispondente alla fase di conservazione domestica). Questo tipo di prove e verifiche possono essere integrate da sistemi di microbiologia predittiva, attraverso cui viene simulata la crescita delle varie popolazioni microbiche in funzione delle caratteristiche dell’alimento e delle condizioni di conservazione Un’altra possibilità interessante invece è quella di effettuare prove su campioni in cui sono stati accelerati i processi di degradazione, in modo da ridurre i tempi di valutazione. Uno dei sistemi più impiegati è di porre gli alimenti a temperature di stoccaggio superiori a quelle abituali, favorendo così le reazioni chimiche che normalmente avverrebbero in tempi più lunghi. Analizzando i campioni ed elaborando i risultati ottenuti si può arrivare a stimare la shelf life che si avrebbe a normali temperature di stoccaggio. Come abbiamo visto, la temperatura in una shelf life gioca un ruolo fondamentale.    

Il nostro laboratorio segue le aziende negli studi di shelf life creando dei protocolli analitici ad hoc stilati secondo le esigenze dell’azienda produttrice, della tipologia di prodotto e del packaging utilizzato.

Scopri di più sui possiamo aiutarti cliccando qui

RASFF: Le allerte alimentari di Agosto

By RASFF, Sicurezza AlimentareNo Comments

Cos’è il RASFF 

Il Sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi (Rapid Alert System for Food and Feed, da cui l’acronimo 

RASFF) è un network per lo scambio di informazioni tra Commissione europea, Autorità europea per la 

sicurezza alimentare (EFSA) ed autorità sanitarie europee. Senza il RASFF non sarebbe possibili ritirare 

prontamente dal mercato i prodotti oggetto di allerta, che possono rappresentare un rischio grave per la 

salute. 

 

Il RASFF di Agosto  

Per il mese di Agosto si registrano 154 allerte, in aumento rispetto alle 132 di Luglio. Il grafico mostra la quota registrata per i singoli alimenti:  

I dati maggiori sono quelli relativi a noci e nocciole e prodotti a base di noci e nocciole (36), carne di pollame (25) e frutta e vegetali (21).

Per quanto riguarda i pericoli, le segnalazioni riguardano soprattutto la Salmonella:

Dopo la Salmonella (63), seguono in misura molto minore le segnalazioni relative a micotossine (29) e residui di pesticidi (19).

Le informazioni del Ministero della salute

Il Ministero della salute comunica, tramite portale, i richiami dei prodotti alimentari da parte degli operatori. La pubblicazione sul sito del Ministero è a cura della Regione competente su segnalazione dell’operatore del settore alimentare previa valutazione della ASL.

Per il mese di Agosto, sono stati pubblicati i seguenti richiami:

 

  • Fagottino cereali antichi con mirtillo, Coop, L Tutti fino al 26/08 compreso – Richiamo per rischio fisico
  • Wurstel con pollo e tacchino al formaggio, Tobias, L 1785417- Richiamo per rischio microbiologico
  • Tiramisu al Caffe’, Bonta’ Divina, L C27922 – D04922 – Richiamo per rischio fisico
  • Würstel puro suino 250g, Conad, L 20.10.22 D L376507 LIEN YING FORMAGGIO, OSSOLANO D.O.P., L 00054-34381 / ns. L 2186 – Richiamo per rischio microbiologico
  • Fagotti alla crema nocciola, Eramore home sweet home, L 10122 tmc 11/09/2022 – 12622 tmc 06/10/2022 – 14022 tmc 20/10/2022 – 15022 tmc 30/10/2022 – Richiamo per rischio allergeni
  • Bomba nocciola, Gluit, L 08422 tmc 25/03/2023 – 10422 tmc 14/04/2023 – 11622 tmc 26/04/2023 – 18222 tmc 01/07/2023 – Richiamo per rischio allergeni
  • üVCV Hamburger di vitello 200 gr, vitello casa Vercelli, L 1304741 – Richiamo per rischio microbiologico
  • Germogli di bamboo Lien Ying 330 gr, Lien Ying, L 0505920210918 Richiamo per rischio fisico
  • TRS Madras Hot Curry Powder, TRS, L tutti – Richiamo per rischio microbiologico
  • Acqua Minerale Naturale Oligominerale 1,5 lt, Fonte Valle Reale, L 109B2202A – 08LB2208A Richiamo per rischio microbiologico
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OGM ed indicazioni in etichetta

By Sicurezza AlimentareNo Comments

Si è recentemente conclusa una consultazione pubblica finalizzata al miglioramento della legislazione europea in materia di OGM, anche in considerazione delle nuove tecnologie genomiche. Gli OGM sono, da sempre, oggetto di ampi dibattiti.

In Europa gli OGM sono coltivati in diversi Paesi, in particolare, la Spagna copre più del 90 % della superficie totale di mais MON 810; nei principali paesi americani esportatori (anche in Europa) di soia, per oltre il 90% si coltiva soia geneticamente modificata.

L’Europa si è comunque sempre opposta ai limiti o divieti di vendita e utilizzo di OGM sui singoli Stati membri. Quindi, anche in Italia, nonostante i divieti di sperimentazione e di coltivazione, è possibile commercializzare alimenti geneticamente modificati o contenenti OGM, nel rispetto delle regole di etichettatura.

A questo punto è evidente l’importanza che ha la trasmissione delle informazioni lungo tutta la catena alimentare per garantire che al consumatore finale giungano informazioni chiare e puntuali così da permettergli di fare scelte consapevoli.

 

Un po’ di storia

Il prossimo anno festeggerà mezzo secolo il primo esperimento condotto da Herbert Boyer e Stanley Norman Cohen che dimostrò la possibilità di trasferire materiale genetico da un organismo ad un altro (nel caso specifico dalla rana al batterio Escherichia coli). Nel 1983 vennero create le prime piante – tabacco e petunia antibiotico resistenti. Nel 1990, la Cina diventò il primo Paese a commercializzare un tabacco geneticamente modificato. Nel 1994 il pomodoro Flavr Savr (realizzato dalla Calgene in USA) fu la prima pianta approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) per il consumo umano.

Queste ricerche accolte e sostenute dall’entusiasmo della scienza non trovarono, però, conferma nel pubblico. In Europa, in particolare, accesi dibattiti e immaginifiche descrizioni di organismi mutanti per metà animale e per metà frutto, ostacolarono la loro diffusione. L’Unione europea scelse a quel punto di non scegliere una politica comune, ma di delegare ai singoli Stati membri ogni decisione in merito alla coltivazione o meno degli OGM. A distanza di quasi 40 anni dalla prima pianta transgenica l’Europa continua ad essere divisa tra Paesi che accettano e coltivano gli OGM e Paesi che vietano anche la sperimentazione.

 

 

Cosa si intende per OGM

Ai sensi della normativa europea, L’OGM è definito come un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale. È un organismo quindi che, grazie alle moderne biotecnologie, porta al suo interno materiale genetico di specie non correlate, in questo modo è possibile conferire a piante importanti, ad esempio, per l’alimentazione, caratteristiche che non posseggono in natura, come la resistenza a certi insetti o la tolleranza ad alcuni erbicidi.

 

Quali sono le norme di riferimento

Le normative di riferimento in campo alimentare per il settore degli organismi geneticamente modificati sono i Reg. UE 1829/2003 e Reg. UE 1830/2003.

Il Reg. UE 1829/2003 stabilisce che gli alimenti e i mangimi possono essere immessi in commercio solo previa autorizzazione della Commissione europea. Gli alimenti e i mangimi autorizzati devono rispettare le condizioni e le eventuali restrizioni riportate nell’autorizzazione. Inoltre, il regolamento stabilisce i criteri di etichettatura e fissa a 0,9 % la soglia di OGM o prodotti GM che possono non essere indicati in etichetta in quanto la loro presenza è considerata accidentale o tecnicamente inevitabile.

 

Le informazioni in etichetta

Nel caso di presenza, oltre lo 0,9%, di alimenti che contengono o sono costituiti da OGM, o ancora, che sono prodotti a partire da o contengono ingredienti prodotti a partire da OGM, in etichetta vanno riportate le seguenti indicazioni:

a) se l’alimento consiste di più di un ingrediente, la denominazione «geneticamente modificato» o «prodotto da [nome dell’ingrediente] geneticamente modificato» appare tra parentesi nell’elenco di ingredienti immediatamente dopo l’ingrediente in questione;

b) se l’ingrediente è designato col nome di una categoria, la denominazione «contiene [nome dell’organismo] geneticamente modificato» o «contiene [nome dell’ingrediente] prodotto da [nome dell’organismo] geneticamente modificato» appare nell’elenco degli ingredienti;

c) se non vi è un elenco di ingredienti, la denominazione «geneticamente modificato» o «prodotto da [nome dell’organismo] geneticamente modificato» appare chiaramente sull’etichetta.

Non ci sono deroghe per confezioni di piccole dimensioni o per prodotti non preconfezionati.

L’etichetta, inoltre, deve informare obbligatoriamente anche in merito a ogni caratteristica o proprietà (es. aumentati livelli di vitamine o antiossidanti) che rende l’alimento GM diverso dalla sua “versione” tradizionale per:

1) composizione;

2) valore o effetti nutrizionali;

3) uso previsto dell’alimento;

4) implicazione per la salute di certi segmenti della popolazione;

oppure nel caso in cui possa dar luogo a preoccupazioni di ordine etico o religioso.

Il Reg. UE 1830/2003 stabilisce ulteriori indicazioni in merito all’etichettatura. In particolare, impone agli operatori di riportare per i prodotti preconfezionati e non preconfezionati, contenenti OGM o da essi costituiti, la dicitura «Questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati» o «Questo prodotto contiene [nome dell’organismo (degli organismi)] geneticamente modificato(a)».

 

Conclusioni

La recente consultazione riapre il dibattito su tali organismi. Restiamo in attesa, quindi, di conoscere l’evoluzione che questi alimenti avranno in Europa e di capire in che direzione, l’eventuale aggiornamento normativo a riguardo, ci spingerà.

 

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La comunicazione degli allergeni alla luce delle ultime allerte sanitarie

By Sicurezza AlimentareNo Comments

Nel mese di Giugno, è stata registrato un numero significativo di ritiri e richiami precauzionali tramite il Sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi (Rapid Alert System for Food and Feed) dovuti alla probabile presenza di allergeni negli alimenti.  

 

La corretta informazione ai consumatori 

Gli Operatori del Settore Alimentare (OSA) devono disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti. Le informazioni al riguardo sono messe a disposizione delle Autorità Competenti che le richiedano. 

Gli alimenti o i mangimi che sono immessi sul mercato della Comunità o che probabilmente lo saranno devono essere adeguatamente etichettati o identificati per agevolarne la rintracciabilità, mediante documentazione o informazioni pertinenti secondo i requisiti previsti in materia da disposizioni più specifiche.  

Il regolamento UE 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, divenuto applicativo a partire dal 13 Dicembre 2014, ha stabilito l’obbligo di riportare nell’etichetta dei prodotti preimballati le sostanze in grado di provocare allergie o intolleranze alimentari presenti all’interno degli alimenti stessi.  

A livello comunitario sono state definite quindi, le informazioni che devono essere veicolate ai consumatori e precisamente nell’allegato II del Regolamento il legislatore elenca le 14 sostanze o i prodotti che possono provocare allergie o intolleranze  

 

Elenco allergeni in Europa 
Cereali contenenti glutine Frutta a guscio (mandorle, nocciole, noci, noci di acagiù, noci di pecan, noci del Brasile, pistacchi, noci macadamia o noci del Queensland 
Crostacei e prodotti a base di crostacei Sedano e prodotti a base di sedano 
Uova e prodotti a base di uova Senape e prodotti a base di senape 
Pesce e prodotti a base di pesce Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo 
Arachidi e prodotti a base di arachidi Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni > 10 mg/kg o 10 mg/litro 
Soia e prodotti a base di soia Lupini e prodotti a base di lupini 
Latte e prodotti a base di latte Molluschi e prodotti a base di molluschi. 

 

La denominazione di ogni allergene deve essere chiaramente distinta dagli altri ingredienti presenti, ad esempio mediante un carattere, uno stile o un colore differente (corsivo, grassetto, maiuscolo etc…). 

 

Le indicazioni “contiene”, “può contenere” 

 

L’elenco ingredienti deve comprendere tutti gli ingredienti dell’alimento, in ordine decrescente di peso, così come registrati al momento del loro uso nella fabbricazione dell’alimento. 

la parola contieneposizionata dopo l’elenco degli ingredienti, non sia ben vista a livello comunitario anche secondo la Comunicazione della commissione del 13.7.2017 riguardante la fornitura di informazioni su sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze figuranti nell’allegato II del regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (2017/C 428/01): “Fatte salve le vigenti disposizioni unionali applicabili a specifici alimenti , la ripetizione delle indicazioni sugli allergeni al di fuori dell’elenco degli ingredienti, l’utilizzo della parola “contiene” seguita dalla denominazione della sostanza o del prodotto figurante nell’elenco dell’allegato II, o l’impiego di simboli o caselle di testo, non sono possibili su base volontaria (cfr. il considerando 47 e l’articolo 21, paragrafo 1, letto in combinato disposto con l’articolo 36, paragrafo 1, del regolamento).” 

Questo fa capire come il termine contiene sia “già contenuto” nell’ indicazione visiva applicata agli allergeni evidenziati nell’ elenco ingredienti.  

Diversa la situazione per La dicitura “può contenere…” l’informazione in merito agli allergeni potenzialmente presenti nel prodotto, rappresenta, per il legislatore europeo, un’informazione di tipo volontario. Tale indicazione non è al momento regolamentata dal legislatore europeo, il quale non ha ancora disposto atti specifici in merito alla corretta veicolazione dell’informazione, in accordo all’articolo 36 comma 3 lettera a). 

L’Operatore del settore alimentare può apporre in etichetta il termine “puo contenere” a seguito di una minuziosa ed efficace analisi dei rischi HACCP che escluda la presenza di allergeni potenziali e fermo restando i principi di utilizzo della dicitura in accordo all’articolo 36 del Regolamento, ovvero: 

Le informazioni sugli alimenti fornite su base volontaria soddisfano i seguenti requisiti:  

  1. a) non inducono in errore il consumatore, come descritto all’articolo 7; 
  2. b) non sono ambigue né confuse per il consumatore; e 
  3. c) sono, se del caso, basate sui dati scientifici pertinenti

 

La contaminazione crociata  

La corretta informazione al consumare è frutto di un governo efficace dei processi aziendali: la conoscenza approfondita e qualificazione dei fornitori, la raccolta oggettiva di informazioni riguardo al rischio delle materie prime con elaborazione di piani analitici puntuali al fine di determinare la rilevanza per il prodotto finito della possibile contaminazione derivante materie prime sono la base per vantar un  efficace  studio dei processi produttivi e validare i procedimenti precauzionali messi in atto dall’azienda (es. pulizie) per evitare cross contamination. 

IFS CASH&CARRY/WHOLESALE e BRC STORAGE & DISTRIBUTION: Un’opportunità per la GDO

By Sicurezza AlimentareNo Comments

La Grande Distribuzione Organizzata, o GDO, è un sistema composto da una rete di negozi distribuiti capillarmente sul territorio. I canali di vendita utilizzati dalla GDO sono innumerevoli e possono variare in base alle dimensioni degli store, degli assortimenti e dei target commerciali. Ad esempio i punti vendita possono essere distinti in iperstore, superstore, discount e negozi tradizionali.

In questo quadro così variegato di opportunità commerciali, trovano ampio spazio i Cash & Carry, ovvero realtà commerciali nate ed organizzate per la vendita all’ingrosso.

I Cash & Carry, letteralmente “paga e porta via”, sono nati negli USA negli anni ’60 e sono stati rapidamente importati anche in Europa, facendo del Business to Business (BtoB) il loro core commerciale.

Oltre all’ampia gamma di prodotti messi a disposizione delle imprese, la formula che rende vincente questo canale commerciale è rappresentata dall’organizzazione self-service degli stores. Questo consente al terzista di approvvigionarsi in completa autonomia, ricercando all’interno del negozio esclusivamente i prodotti di suo interesse.

Ma come fanno i Cash & Carry a garantire la qualità e soprattutto la sicurezza dei prodotti alimentari e materiali a contatto commercializzati?

Così come tutte le imprese alimentari, anche i C&C devono sottostare a quanto previsto dalla normativa cogente in termini di qualità e sicurezza alimentare. Tutte le imprese che comunque vogliono dare risalto e valorizzare l’ attenzione verso la qualità dei prodotti e le aspettative dei propri clienti, possono avvalersi di standard di certificazione volontari internazionali.

In particolare esistono due standard internazionali, riconosciuti dal sistema GFSI, applicabili da tutti i Cash & Carry: IFS Cash&carry/Wholesale e BRC Storage&Distribution.

Vedremo in questo articolo quali sono le loro caratteristiche principali e i vantaggi per le imprese alimentari che decidono di intraprendere l’iter di certificazione.

 

IFS CASH&CARRY/WHOLESALE

IFS CASH&CARRY/WHOLESALE è uno standard pubblicato dal Comitato tecnico IFS per la prima volta nel 2010. Alla prima stesura collaborarono retailer tedeschi e francesi, supportati da Associazioni di Categoria per dettaglianti e GDO italiane.

Lo scopo di questo standard internazionale è quello di fornire un sistema di valutazione omogeneo per le attività di manipolazione e gestione dei generi alimentari effettuate all’interno dei Cash&Carry o dai grossisti.

IFS CASH&CARRY/WHOLESALE ricalca la versione di IFS Food ed è applicabile sia dalle imprese che manipolano esclusivamente derrate preconfezionate, sia da quelle che manipolano alimenti sfusi.

Chi può certificarsi?

Lo standard è composto da due grandi moduli:

  • Wholesale: modulo applicabile ai grossisti, ovvero a realtà che commercializzano all’ingrosso sia a marchio privato che a marchio terzi. I prodotti commercializzati devono essere stoccati all’interno del sito oggetto di certificazione e possono essere commercializzati tal quali oppure previo trattamento/manipolazione in sito (come ad esempio il confezionamento);
  •  Cash & Carry: modulo applicabile dai punti vendita per la vendita all’ingrosso in modalità self-service. Anche in questo caso, i prodotti commercializzati devono essere stoccati all’interno del sito oggetto di certificazione e possono essere rivenduti tal quali o previa manipolazione in sito.

Entrambi i moduli sono applicabili simultaneamente e nel caso in cui l’azienda sia costituita da più siti, possono essere estesi a tutti i siti operativi.

Quali sono i vantaggi?

1. Combinare in un solo audit di verifica più siti operativi, verificando gli aspetti legati alla sicurezza alimentare e i moduli specifici dei Cash&Carry;

2. Agevolare e ottimizzare i processi di qualifica dei fornitori, incrementando il coinvolgimento del personale in tutti i livelli aziendali;

3. Adottare sistemi di valutazione dei rischi per tutti i processi aziendali, compresa la difesa del sito e la vulnerabilità delle derrate e delle materie prime;

4. Soddisfare le aspettative dei propri clienti in merito Sicurezza Alimentare dei prodotti a loro forniti;

5. Incrementare la propria reputazione commerciale, ampliando la visibilità a livello internazionale;

6. Definire una solida metodologia di analisi e gestione dei rischi basata sui principi HACCP e sulla capacità di migliorare l’efficacia e l’efficienza della sicurezza alimentare.

 

BRC STORAGE & DISTRIBUTION

Anche lo standard di Certificazione BRC Storage & Distribution, fa parte degli standard privati del consorzio della GDO anglosassone British Retail Consortium, così come il BRC Food e il BRC Angents&Brokers.

Il BRC Storage & Distribution è stato pubblicato per la prima volta nel 2006, dalla collaborazione del British Retail Consortium e dell’organismo di certificazione anglosassone UKAS, con l’obiettivo di fornire a tutti i distributori food e no-food delle best practice da adottare durante le loro lavorazioni.

Lo standard è rivolto a tutte le imprese coinvolte nelle fasi di stoccaggio, distribuzione e commercializzazione all’ingrosso di generi alimenti e non alimentari, che vogliono incrementare la propria visibilità e credibilità a livello internazionale.

Come è articolato lo standard?

Lo standard è suddiviso in due grandi moduli. Ciascun modulo copre delle attività specifiche e possono essere applicati singolarmente oppure in combinazione, a seconda del core business dell’impresa che vuole certificarsi.

  • Stoccaggio
  • Distribuzione
  • A questi moduli si aggiungono dei moduli volontari aggiuntivi, che consentono di estendere lo scopo di certificazione e dare maggiore risalto alle attività commerciali realizzate:
  • Wholesale: per la vendita all’ingrosso. Questo modulo è applicabile solo in combinazione con il modulo “stoccaggio”.
  • E-commerce: per la commercializzazione online dei prodotti all’ingrosso o direttamente al consumatore finale. Questo modulo è applicabile in combinazione ai moduli stoccaggio e distribuzione.
  • Cross-docking: per le imprese che si occupano di scaricare i veicoli in ingresso nel sito oggetto di certificazione, smistare le merci e caricare le stesse su veicoli in uscita in luoghi diversi dal sito oggetto di certificazione.
  • Servizi conto terzi: per le imprese che offrono servizi aggiuntivi ai propri clienti, quali ad esempio ispezioni del prodotto, imballaggio conto terzi, pulizie ceste o altri contenitori, recupero scarti, riciclaggio, raffreddamento/congelamento/rinvenimento/decongelamento e lavorazione ad alta pressione conto terzi.

Quali sono i requisiti a cui si deve ottemperare per ottenere la certificazione?

Per ottemperare a quanto previsto dal BRC Storage&Distribution, tutte le imprese devono:

  •  Individuare, valutare e controllare i rischi per la Sicurezza Alimentare potenzialmente presenti nell’azienda, in base ai principi del Sistema HACCP o del Sistema HARA;
  • Effettuare un’attenta analisi degli approvvigionamenti, con un approccio basato sul risk assessment, selezionando accuratamente i fornitori dei prodotti commercializzati, con particolare attenzione a quelli che realizzano i prodotti a marchio aziendale;
  • Valutare periodicamente le prestazioni del Sistema ed eventualmente pianificare delle revisioni atte al miglioramento continuo;
  • Testare almeno una volta l’anno l’efficacia del Sistema di Gestione attraverso audit interni.

 

COME POSSIAMO AIUTARTI AD OTTENERE LA CERTIFICAZIONE?

Gruppo Maurizi può offrirti un sopralluogo gratuito nel quale un nostro specialist sarà in grado di identificare il contesto aziendale, verificando se i requisiti legali applicabili sono soddisfatti.

Nel caso in cui alcuni requisiti non siano soddisfatti, Gruppo Maurizi è in grado di fornirti indicazioni sulle azioni correttive da intraprendere.

Se persiste la volontà di voler acquisire tale certificazione procederemo con l’offerta, supportandovi con l’implementazione del Sistema e accompagnandovi lungo tutto l’iter di certificazione.

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