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Il Ministero della Salute ha pubblicato lo scorso Marzo l’atteso rapporto RASFF 2016, riportante i dati relativi alle allerte diramate da tutti gli Stati membri.

Le notifiche trasmesse attraverso il RASFF nel 2016 sono state 2925, di queste la maggior parte (711, ossia ben il 24% del totale), sono risultate legate alla presenza di microrganismi patogeni.

Per quanto riguarda i prodotti di origine italiana la Listeria Monocytogenes è risultata essere tra i patogeni maggiormente rappresentati dopo Salmonella ed E.Coli.

Seppur l’infezione da Listeria monocytogenes abbia un’incidenza più bassa rispetto ad altre tossinfezioni alimentari, quali quella causata ad esempio da Salmonella, questo microrganismo si sta rivelando un problema sempre più importante di sanità pubblica nei Paesi occidentali a causa della gravità della patologia e dei tassi di mortalità elevati rispetto alle altre malattie trasmesse dagli alimenti.

In soggetti sani la listeriosi non ha conseguenze gravi ed i sintomi sono principalmente gastrointestinali, ma nei soggetti più deboli dal punto di visto immunitario quali neonati, anziani, pazienti oncologici o persone sottoposte a terapie immunosoppressive, le conseguenze possono essere ben più serie con sintomi sistemici quali setticemie e meningiti.

Nelle donne in gravidanza si possono avere morte del feto, nascita prematura o nascita di un neonato con meningite.

 

Dove si trova la Listeria?

La Listeria è un microrganismo ubiquitario che pertanto è molto diffuso nell’ambiente, e si trova comunemente nel suolo, nell’acqua e nei vegetali.

Proprio per la sua ubiquitarietà può contaminare gli alimenti a qualunque livello della catena di produzione e consumo.

Riesce a crescere e riprodursi in condizioni ambientali che risultano essere sfavorevoli per la maggior parte dei microrganismi patogeni (riesce a sopravvivere fino a pH 5.0, concentrazione salina fino al 10% e temperatura di 2/4°C).

Inoltre, la sua capacità di produrre rapidamente biofilm gli permette di sopravvivere per lungo tempo, anche fino a 10 anni, sulle superfici degli stabilimenti di produzione degli alimenti.

Queste caratteristiche influenzano notevolmente sia la capacità della Listeria di contaminare gli alimenti sia la sua patogenicità nell’uomo, permettendo al microrganismo di moltiplicarsi anche a temperatura refrigerata (se pure lentamente) e di raggiungere facilmente le cariche infettanti minime necessarie per scatenare la listeriosi.

Gli alimenti in cui Listeria trova le migliori condizioni di sviluppo, e che quindi sono maggiormente implicati in episodi di malattia nell’uomo, sono:

  • alcuni tipi di prodotti lattiero-caseari,
  • prodotti a base di carne pronti per essere consumati,
  • alcune tipologie di prodotti della pesca conservati.

 

In particolare desta preoccupazione la presenza del microrganismo nei prodotti alimentari pronti al consumo, proprio perché tali prodotti per loro natura sono destinati ad essere consumati senza bisogno di subire un trattamento di risanamento (quale ad esempio la cottura), e negli alimenti che hanno una lunga vita commerciale.

 

Quali sono gli strumenti che l’OSA ha a disposizione per controllare il pericolo Listeria?

La principale causa di contaminazione può essere individuata nella non corretta esecuzione delle procedure di sanificazione di attrezzature e ambienti di lavoro e nella mancata applicazione delle generali buone norme di lavorazione volte ad evitare possibili contaminazioni crociate.

Pertanto, per ogni azienda alimentare, l’applicazione delle buone prassi di lavorazione e il mantenimento di un elevato standard di sanificazione risultano fondamentali per ridurre a livelli accettabili o eliminare il rischio di contaminazione, sia durante che post lavorazione.

Per ogni Operatore del Settore Alimentare risulta inoltre di notevole importanza che il personale che esegue le procedure di sanificazione, e che si occupa della manipolazione degli alimenti, riceva una formazione specifica e costante circa le corrette norme di lavorazione e le buone norme igieniche, al fine di prevenire possibili contaminazioni all’interno dell’azienda alimentare.

E’ inoltre fondamentale monitorare costantemente la sicurezza del prodotto e la sicurezza del processo, come previsto dal Reg 2073/05/CE, mediante un piano di campionamento predisposto in base all’analisi dei pericoli nell’ambito del sistema di autocontrollo aziendale, sia sul prodotto finito che sulle superfici di lavoro.

 

Challenge test per Listeria

Nell’ambito delle analisi microbiologiche, l’esecuzione di challenge test per Listeria rappresenta un valido strumento che l’OSA può utilizzare per studiare come evolve la popolazione del patogeno nell’alimento e verificare il livello che può raggiungere il batterio all’interno del suo prodotto alimentare entro la data di scadenza.

Ricordiamo infatti che, in base al Reg 2073/05/CE, può essere applicato un limite per la Listeria monocytogenes di 100 ufc/g se l’operatore del settore alimentare:

“è in grado di dimostrare, con soddisfazione dell’Autorità Competente, che il prodotto non supera i 100ufc/g durante il periodo di conservabilità. L’operatore può fissare durante il processo limiti intermedi sufficientemente bassi da garantire che il limite di 100 ufc/g  non sia superato al termine del periodo di conservabilità”

Il challenge test consiste nel determinare la capacità di crescita di Listeria monocytogenes nel prodotto contaminato artificialmente in laboratorio e conservato simulando le condizioni previste di trasporto, distribuzione e stoccaggio.

Oltre a dare informazioni sulla crescita del patogeno nell’alimento, permette di stabilire con buona fondatezza scientifica la sensibilità o la resistenza di un patogeno ad uno specifico trattamento di conservazione o ad un determinato composto chimico con attività antimicrobica.

 

Quali sono i vantaggi per le aziende nell’effettuare questi studi?

Obiettivo fondamentale di ogni operatore del settore alimentare è quello di garantire la sicurezza degli alimenti da lui prodotti sotto il profilo igienico sanitario, e sicuramente la conservabilità del prodotto è parte integrante della sicurezza alimentare, in quanto ci indica quanto a lungo un alimento può mantenere le sue caratteristiche qualitative nelle normali condizioni di conservazione e utilizzo.

L’esecuzione di challenge test possono rappresentare, pertanto, per le aziende alimentari un valore aggiunto, permettendogli non solo di definirne l’esatta durabilità commerciale del prodotto, ma anche di acquisire importanti informazioni per migliorare l’igiene dei processi di produzione, per lo sviluppo di nuovi prodotti, per la validazione/ottimizzazione dei processi produttivi già in atto, e non da ultimo per favorire il rapporto di fiducia con il cliente.

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