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Cibo avariato, il caso della macelleria di Roma cosa insegna?

By 11 Marzo 2016Luglio 27th, 2022Sicurezza Alimentare3 min read
cibo avariato

La macelleria di Via Panisperna – vecchia istituzione dello storico rione Monti al centro di Roma – in seguito all’apposizione dei sigilli giudiziari a causa di un sequestro fallimentare, era diventata l’incubo di alcune famiglie residenti che, allertate dall’odore nauseabondo proveniente dall’interno dei locali, hanno richiesto l’intervento delle autorità per porre fine al maleodore persistente.

Nella giornata di ieri, in seguito alla segnalazione dei cittadini agli uffici del I Municipio, uomini della polizia veterinaria, vigili urbani e personale specializzato della Asl Roma A, hanno aperto la saracinesca del negozio ed hanno constatato che nelle celle frigorifere dell’esercizio, a seguito del distacco dell’energia elettrica e del sequestro, era presente circa un quintale e mezzo di carne in avanzato stato di decomposizione.

Questo episodio pone l’attenzione sul destino di tutti quegli alimenti che, per un motivo o per un altro, non sono più commercializzabili e quindi devono essere tolti dal ciclo distributivo.

Pensiamo, in tal senso, ai continui sequestri operati dalle Autorità Competenti presso aziende che mettono in commercio alimenti stoccati in cattive condizioni igieniche o avariati.

Quale è dunque il destino del cibo avariato?

Secondo l’iter normalmente disposto in questi casi, l’alimento posto sotto sequestro, alla presenza delle Autorità Competenti che hanno provveduto alla segnalazione, viene avviato alla distruzione a spese dell’azienda che ha commesso l’illecito; ci troviamo quindi di fronte ad un doppio danno perché oltre a perdere il valore commerciale della merce, l’azienda dovrà sostenere anche i costi dello smaltimento (oltre al chiaro e spesso sottovalutato calo di immagine che ne consegue).

Per i casi particolari come quello menzionato sopra, non essendo più presente una società di riferimento, sono state le Autorità Competenti che hanno provveduto in autonomia allo smaltimento della merce.

Come funziona lo smaltimento di alimenti scaduti, in maniera volontaria? Sono possibili delle detrazioni fiscali?

Come spesso capita a molte aziende, vi è sempre una parte di alimenti che rientra nel novero dei “resi” o degli “invenduti”.

Laddove non sia possibile riprocessare gli alimenti, è possibile accantonarli come “alimenti da smaltire”.

Nel momento in cui un alimento scaduto è per volontà destinato allo smaltimento e/o recupero, lo stesso rientra nella gestione dei rifiuti, quindi il produttore lo classifica come per Legge.

Il codice CER specifico è il 020304 (scarti inutilizzabili per il consumo o la trasformazione). Tale tipologia di rifiuti, sia per caratteristiche del rifiuto ed anche in ragione di tutta la finalità della normativa sul recupero dei rifiuti, è da destinarsi preferibilmente ad attività di recupero R3, e l’attività a ciò destinata è il compostaggio.

Per poter detrarre fiscalmente il ” quantum ” complessivo di tale perdita, da parte ad esempio di un’azienda produttrice,  bisogna stilare un inventario secondo le tipologie di alimenti e quantità che deve essere confermato da un funzionario delle Agenzie delle Entrate.

Per cui la redazione di un inventario è necessaria ai fini dell’accertamento (la si può allegare come allegato al verbale di constatazione) e sarà parte integrante per ciò che sarà il computo della detrazione del “quantum”. Tale tipologia di rifiuti può essere conferita sia confezionata che sconfezionata, dipende dagli accordi con l’impianto di recupero.

Nell’ipotesi di sconfezionamento del prodotto prima del conferimento del contenuto quale rifiuto, tale sconfezionamento è da effettuarsi in presenza del funzionario addetto (che dovrà attestarne l’avvenuto procedimento in sua presenza), ovviamente gli imballaggi tolti avranno altra tipologia di smaltimento essendo altro rifiuto CER 150106 (imballaggi in materiali misti).

La procedura non è complicata, basta:

  1. redigere un elenco dettagliato,
  2. individuare una zona nel deposito dell’esercizio e destinarlo a “zona deposito alimenti scaduti” (eventualmente apporre un cartello indicativo),
  3. redigere una nota indirizzata all’Agenzia dell’entrate territorialmente competente.

E’ a cura dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate indicare un funzionario e prendere contatti.

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