
Selezione all’ingresso
Gli animali domestici sono parte integrante degli affetti di molte famiglie italiane.
La tutela del benessere e dei diritti degli animali d’affezione è quindi sempre più al centro dell’attenzione pubblica. D’altra parte, un Paese che dimostra sensibilità e rispetto verso i propri animali sicuramente mostra di aver raggiunto un elevato grado di civiltà e la legislazione italiana si sta muovendo sempre più in questa direzione.
Eppure i nostri amici animali sono spesso al centro di polemiche. Quante volte ci è successo di assistere a discussioni tra gli esercenti di locali pubblici e i proprietari di cani circa il divieto di accesso degli animali all’interno dei pubblici esercizi?
La normativa al riguardo non è molto chiara e soprattutto si presta a varie interpretazioni. La legge di riferimento è la 281/1991 (“Legge quadro in materia di animali d’affezione e di prevenzione del randagismo”) che segue l’art.83, lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954 n.320, recante “Regolamento di Polizia veterinaria” e che sostanzialmente dice che
gli animali possono accedere a qualunque luogo pubblico o esercizio pubblico, salvo che non venga segnalato il divieto con apposito cartello.
Dal momento che la segnalazione di divieto di accesso ha creato negli anni numerosi fraintendimenti, per cercare di mettere un po’ di ordine in materia nel 2010 il Ministero del Turismo e l’Anci – Associazione nazionale comuni italiani – hanno pubblicato il testo di un’ordinanza tipo sul libero accesso di cani e animali d’affezione in strutture pubbliche e luoghi aperti al pubblico.
Da allora molte città (tra cui Roma), province e regioni hanno adottato regolamenti che favoriscono l’accesso di cani e gatti nelle strutture pubbliche (uffici pubblici, ristoranti, mezzi di trasporto), nelle spiagge pubbliche, in alcuni casi anche ospedali e strutture sanitarie, purché i cani siano tenuti al guinzaglio e, all’occorrenza, indossino la museruola e i gatti viaggino in trasportino. Al contrario, molti altri comuni si sono mostrati molto più restrittivi, prevedendo divieti di accesso assoluti oppure astenendosi dal regolamentare la materia, facendo crescere ulteriormente l’incertezza.
C’è da considerare però, che quando parliamo di pubblici esercizi che operano nel settore alimentare ci riferiamo ad un ambito particolarmente sensibile in cui, oltre che i diritti e il benessere degli animali, è necessario tenere in considerazione e salvaguardare la salute dei consumatori garantendo la salubrità degli alimenti offerti. Il Reg. CE 852/2004 (All.II Cap.IX comma 4) per ciò che riguarda gli esercizi di vendita e stabilimenti ove vengono manipolati alimenti stabilisce infatti che:
“Occorre predisporre procedure adeguate per controllare gli animali infestanti e per impedire agli animali domestici di accedere ai luoghi dove gli alimenti sono preparati, trattati o conservati (ovvero, qualora l’autorità competente autorizzi tale accesso in circostanze speciali, impedire che esso sia fonte di contaminazioni)”.
È quindi chiaro e inequivocabile per la normativa del settore alimentare il divieto di accesso nei locali in cui avviene la manipolazione degli alimenti (ad esempio la cucina di un ristorante) con un cane ma non è vietato dalla normativa sedersi al tavolo di un ristorante in compagnia del proprio cane (purché il proprietario del locale non faccia esplicito divieto). Per la stessa ragione vi è il divieto di accesso degli animali all’interno di supermercati (con o senza guinzaglio e museruola, in braccio oppure no) dove avviene a tutti gli effetti una conservazione degli alimenti.
Di tutt’altra natura è invece la motivazione del divieto di accesso in alcuni ristoranti italiani per i bambini al di sotto dei cinque anni.
In questo caso infatti le cause della restrizione non sono di natura igienico sanitaria ma sono legate alla maleducazione e alla confusione creata dai bambini e agli eventuali possibili danni arrecati agli arredi dei locali.
Questa tendenza si è manifestata inizialmente negli Usa ed ha finito poi col diffondersi anche in Europa, contagiando persino Paesi notoriamente molto attenti alle esigenze della famiglia, quali i Paesi del nord Europa. Sta crescendo quindi sempre più il numero di attività “childfree” tra cui alberghi, ristoranti, voli aerei, stabilimenti balneari, caffè ecc.
In Italia ovviamente il fatto ha scatenato numerose polemiche al pari della questione degli animali d’affezione.
Come devono comportarsi quindi gli esercenti delle attività pubbliche rispetto alla possibilità di limitare o meno l’accesso ai propri locali?
Per le attività che operano nel settore alimentare la possibilità di consentire l’accesso degli animali d’affezione ai locali di somministrazione degli alimenti deve essere valutata caso per caso, effettuando una vera e propria analisi del rischio per la specifica attività. Deve essere quindi tenuta in considerazione la presenza di concrete e inderogabili esigenze di tutela igienico-sanitaria certificate dalle autorità sanitarie, per cui l’esercente possa richiedere il divieto di accesso a cani, gatti e altri animali d’affezione (per esempio, nel caso in cui nella sala somministrazione venga esposto il buffet).
Coloro che accettano l’ingresso dei cani all’interno dei propri locali devono avere nel proprio piano di autocontrollo un riferimento alla specifica analisi del rischio effettuata per la propria attività.
Per quanto riguarda l’accesso dei bambini, il ristoratore può decidere, in base al TULPS (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza), di restringere l’accesso al proprio locale qualora esistano giustificati motivi senza che questo si configuri come una mancata garanzia della prestazione.
Pertanto la decisione, condivisibile o meno, di escludere i bambini dai propri locali resta legittima, per quanto si potrebbe discutere all’infinito di quali possano essere considerati i suddetti giustificati motivi.
Cosa può fare invece il consumatore per tutelarsi ed evitare spiacevoli inconvenienti?
Sicuramente il primo passo per il possessore di un animale d’affezione è quello di informarsi prima di portare il suo fedele compagno e, verificare quale sia la normativa vigente nella località nella quale intende recarsi per non incappare in sorprese poco piacevoli quali divieti inaspettati o, addirittura sanzioni amministrative.
Lo stesso vale per il genitore che intenda consumare un pasto fuori casa con i propri figli. Sicuramente la scelta di vietare l’ingresso ai bambini non interessa la totalità dei pubblici esercizi ma solo una parte limitata, per cui sarà possibile scegliere un ristorante in cui poter godere una cena in compagnia dei propri figli.