
Le strutture ospedaliere, sia pubbliche che private, rientrano nell’ambito della normativa che riguarda i luoghi di lavoro, e devono quindi risultare conformi ai requisiti definiti nel capo I del Titolo II (artt. 62-64) del Testo Unico sulla Sicurezza.
Rispetto alle disposizioni generali riferibili a qualsiasi luogo di lavoro, esistono nel D.Lgs. 81/08 delle importanti precisazioni per alcune tipologie di Ospedali.
Per esempio, l’istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione interno all’azienda è obbligatorio per le strutture di ricovero e cura con oltre 50 lavoratori (oltre che per altre tipologie di aziende come elencate nel c6 dell’art 31).
Inoltre, le strutture ospedaliere sono sempre considerate, indipendentemente dalle dimensioni, luoghi di lavoro a rischio di incendio elevato, e quindi tenute ad adottare le relative misure di gestione dell’emergenza (questo a causa della eventuale possibile difficoltà di sfollamento in caso di emergenza del personale ivi degente).
Il primo decreto del 2002, e la successiva più recente integrazione, definiscono di fatto tutti i requisiti infrastrutturali, strutturali e di progettazione, le misure di prevenzione, gli aspetti della formazione e le disposizioni in materia di protezione e gestione delle emergenze negli istituti di ricovero e cura.
Gli ospedali come luogo di lavoro
Il problema della salute e della sicurezza in questo tipo di ambienti di lavoro non riguarda solo chi in essi lavora, ma anche i pazienti e i visitatori.
Gli istituti di ricovero e cura sono luoghi di lavoro alquanto eterogenei e complessi (si pensi ad ambulatori, day hospital, degenza, laboratori, radioterapia ecc) e ricoprono una vasta serie di casistiche riconducibili a rischi sui luoghi di lavoro molteplici ed a volte complessi; in considerazione della complessità del luogo di lavoro i rischi inerenti le differenti attività devono essere valutati studiando gli ambienti di lavoro ed analizzandone le caratteristiche, sia strumentali che infrastrutturali, con lo scopo di elaborare un Documento di Valutazione dei Rischi che tenga conto anche delle interferenze tra un ambiente e l’altro.
Nelle strutture sanitarie coesiste uno scenario completo di rischi convenzionali ed emergenti (fisici, chimici e biologici) difficilmente riscontrabile in altre realtà industriali.
Le figure della sicurezza all’interno di un ospedale
Come in qualsiasi altro posto di lavoro, anche in un ospedale, deve esistere un organigramma della sicurezza che faccia capo ad un Datore di Lavoro (spesso identificato per esempio nel direttore scientifico, piuttosto che in un membro del Consiglio di Amministrazione o nella proprietà in caso di aziende private).
Vi sono poi eventualmente le figure dei dirigenti per la sicurezza identificabili per esempio nei direttori di dipartimento o nei medici primari di reparto; ed infine i preposti che spesso vengono identificati nel personale di capo area, capo reparto infermieristico, responsabili di laboratorio o responsabili di sala.
I rischi per i lavoratori
In questa prima parte dedicata alla sicurezza negli ospedali esamineremo alcuni dei rischi a cui è esposto chi lavora in ospedali o strutture sanitarie in relazione a:
- agenti biologici,
- sostanze chimiche,
- gas medicinali,
- stress lavoro correlato e lavoro notturno.
Rischio biologico
Chi lavora in ospedali o strutture sanitarie è fortemente esposto al rischio biologico.
Le infezioni a cui sono soggetti i lavoratori del settore sanitario possono essere trasmesse per via aerea o per contatto.
Del primo tipo è di particolare rilievo la tubercolosi (TBC), data la facilità con cui colpisce i soggetti con basse difese immunitarie; il secondo tipo comprende infezioni oro-fecali, cutanee e da ectoparassiti, ma quelle più diffuse derivano tutte dal contatto con sangue e altri materiali biologici infetti, in particolare si parla di HIV e epatite B, che sono le infezioni più gravi contraibili in questo modo.
L’esposizione alle infezioni dipende molto dall’attività lavorativa, infatti alcune attività risultano più a rischio di altre.
Il personale medico, ad esempio, entra raramente a contatto diretto con il sangue del paziente, se non in caso di operazioni chirurgiche; il personale dei laboratori, invece, per svolgere le analisi è costretto al contato quotidiano con sostanze potenzialmente infette.
Le principali precauzioni universali, misure di prevenzione e protezione, prevedono:
- Lavaggio delle mani (lavaggio delle mani con acqua e detergente seguito da lavaggio antisettico ogni qual volta si verifichi accidentalmente il contatto con sangue e/o liquidi biologici e dopo la rimozione dei guanti)
- Uso dei guanti (devono essere sempre indossati quando vi è o vi può essere contatto con sangue e/o liquidi biologici)
- Uso dei camici e dei grembiuli di protezione (devono essere sempre indossati durante l’esecuzione di procedure che possono produrre l’emissione di goccioline o schizzi di sangue e/o liquidi biologici)
- Uso di mascherine, occhiali e coprifaccia protettivi (devono essere sempre indossati durante l’esecuzione di procedure che possono provocare l’esposizione della mucosa orale, nasale e congiuntivale a goccioline o schizzi di sangue e/o liquidi biologici e emissione di frammenti di tessuto)
- Eliminazione di aghi bisturi e taglienti (devono essere maneggiati con estrema cura per prevenire ferite accidentali, non devono essere reincappucciati, disinseriti e piegati o rotti; devono essere eliminati in contenitori resistenti, rigidi, impermeabili, con chiusura finale ermetica e smaltiti come rifiuti speciali)
- Campioni biologici (vanno collocati e trasportati in contenitori appositi che impediscano eventuali perdite o rotture; il materiale a perdere che risulta contaminato da sangue e/o liquidi biologici deve essere riposto nei contenitori per rifiuti speciali; le eventuali manovre chirurgiche e/o endoscopiche su pazienti infetti devono essere inserite come ultime nella programmazione delle relative sedute)
Inoltre il D.Lgs. 81/08 – Testo Unico per la sicurezza sul lavoro prevede sia la sorveglianza sanitaria per il personale esposto al rischio biologico sia la fornitura di vaccini per i lavoratori non immuni.
Va sottolineato, però, che non bastano dei controlli saltuari per garantire la sicurezza dei lavoratori del settore sanitario, bisogna piuttosto attuare una strategia che segua un preciso protocollo e che comprenda l’accertamento dello stato immunitario, la somministrazione di vaccini, il trattamento tempestivo di eventuali infortuni e la registrazione e la valutazione in caso di epidemie di malattie infettive nel personale.
Il protocollo prevede che venga accertata la situazione immunitaria per epatite B e C, per la tubercolosi, per la rosolia e per l’HIV (solo con il consenso dell’interessato).
Le vaccinazioni, di conseguenza, riguardano l’epatite B e la TBC, inoltre la rosolia per le donne che lavorano nei reparti pediatrici e il tetano per il personale dell’anatomia patologica, per gli ausiliari che effettuano manipolazione dei rifiuti e per gli operai dei servizi tecnici.
La normativa non obbliga il lavoratore alla vaccinazione, a meno che non appartenga a specifiche categorie, ma comunque obbliga il datore di lavoro a mettere a disposizione il vaccino e a garantire l’informazione riguardo ai rischi di una mancata vaccinazione.
Rischio chimico
Altrettanto importante è il rischio chimico, legato sia alla presenza di sostanze di laboratorio, farmaci, reagenti pericolosi (chemioterapici, stupefacenti, ecc..) che devono essere mantenuti, manipolati e smaltiti correttamente secondo procedure standardizzate, onde evitarne la dispersione accidentale o l’utilizzo improprio sia soprattutto all’utilizzo di detergenti, disinfettanti e sterilizzanti (glutaraldeide).
In ambiente sanitario sono utilizzati prodotti ad:
- azione disinfettante: acidi (cloridrico, borico, solforico, ecc.), alcali (carbonato sodico, idrossido di sodio, idrossido di potassio, ecc.), alogeni inorganici e ossidanti (amuchina, ipoclorito di sodio, ipoclorito di potassio, ecc.), composti dello iodio (tintura di iodio, alcool iodato, ecc.), acqua ossigenata, aldeidi (formaldeide, glutaraldeide, ecc.), alcoli (etilico, denaturato, ecc.), alogeni organici (iodopovidone, cloramina, ecc.), clorexidina, ossido di etilene, permanganato di potassio e ammoni quaternari (benzalconio cloruro, cetrimide, ecc.)
- azione detergente: detersivi liquidi sia per uso personale che ambientale (ad esempio pulizie degli ambienti, ecc.) che possono contenere dei disinfettanti
Gli eventuali danni sono individuabili in patologie locali (mani, avambracci) dette anche “patologie da lavori umidi”.
Per prevenire il rischio di esposizione a sostanze e preparati disinfettanti e detergenti occorre che siano attuate una serie di misure tecniche ed organizzative nello specifico:
- usare razionalmente i mezzi protettivi con particolare riferimento a idonei guanti monouso e alle creme barriera, alle mascherine per lavori prolungati, ecc.
- non utilizzare sostanze contenute in contenitori senza etichetta
- non eseguire travasi di sostanze in bottiglie normalmente adibite ad altri usi (bottiglie di acqua, bibite, ecc.)
- utilizzare i prodotti in ambienti ben aerati
- ricordarsi che i prodotti possono essere infiammabili, per cui non accendere fiamme, non fumare e non utilizzare apparecchiature che possono provocare scintille.
L’uso della glutaraldeide (disinfettante) può comportare esposizione sia per via inalatoria sia per via cutanea (accidentalmente), con possibile comparsa di effetti irritativi/allergici a carico delle mucose, degli occhi, delle prime vie respiratorie e della cute.
Gli operatori (medici, tecnici, infermieri, ausiliari, ecc.) che utilizzano, preparano o smaltiscono soluzioni di glutaraldeide, devono essere dotati di: protezione per le mani (guanti monouso in nitrile), protezione per le vie respiratorie (facciali filtranti usa e getta), protezione per gli occhi/faccia per possibili spruzzi in particolare nella manipolazione della soluzione su piano libero (occhiali a mascherina o visiera e schermi trasparenti) e protezione per il corpo (camici lunghi o grembiuli impermeabili, ecc.).
Al fine di ridurre il livello di rischio sono raccomandabili una serie di interventi tecnici (da effettuarsi sotto cappa aspirante) ed organizzativi, tra i quali:
- è fatto divieto di accesso alla zona di manipolazione della glutaraldeide al personale non opportunamente istruito
- utilizzo di quantità minime di soluzioni nei bagni di glutaraldeide
- identificazione, mediante etichette, dei contenitori delle soluzioni
- giusta manualità (in modo delicato) nel riempire e svuotare i bagni usando tutte le precauzioni necessarie per evitare versamenti
- uso di vasche o recipienti tappati e a tenuta, quando non usata
- accurato risciacquo, con cicli aggiuntivi a quelli effettuati automaticamente, degli strumenti che possono venire a contatto con gli occhi degli operatori (oculari degli endoscopi, ecc.)
In caso di incidente o versamento ambientale è importante rimuovere immediatamente la quantità sparsa con materiale assorbente (carta, segatura, cotone idrofilo, ecc.); in caso di imponente contaminazione cutanea è importante togliere subito gli abiti e lavare abbondantemente la cute con acqua fredda e poi recarsi al Pronto Soccorso; in caso di spruzzo agli occhi è fondamentale lavare immediatamente gli occhi con soluzione fisiologica per almeno 15 minuti e inviare l’infortunato al pronto soccorso.
Gas medicinali
Per gas s’intende ogni sostanza che si trovi nel particolare stato fisico, detto appunto gassoso o aeriforme. I gas non hanno, dal punto di vista fisico, né forma, né volume, ma tendono ad occupare tutto lo spazio a loro disposizione.
Essi sono classificati in: comburenti (permettono e mantengono la combustione ma non possono bruciare), combustibili (possono bruciare soltanto in presenza di un comburente), inerti e asfissianti (non mantengono la vita, non sono infiammabili, non permettono e non mantengono la combustione), tossici (nocivi per l’organismo a partire da una certa concentrazione e in funzione della durata dell’esposizione) e corrosivi (reagiscono chimicamente con molti prodotti come metalli, vestiti, tessuti umani, ecc.).
La produzione dei gas medicinali previsti dalla farmacopea ufficiale è regolata dai D.Lgs. del Ministero della Sanità n. 178/1991, n. 538/1992 e s.m.i.
I principali gas medicinali sono:
- Azoto Protossido (N2O)
- Carbonio diossido (CO2)
- Aria Medicale
- Ossigeno (O2)
- Ossido Nitrico (Nox)
- Azoto (N2)
I principali gas utilizzati nelle terapie sono:
- Aria compressa (O2/N2)
- Elio (He)
- Miscele e prodotti personalizzati
Inoltre esistono i gas puri e speciali per applicazioni mediche, tecniche e di laboratorio.
- Ossigeno (O2): è nella pratica medica, un farmaco legato alla funzione respiratoria che ha il compito di diffonderlo a livello cellulare.
Non è infiammabile, ma favorisce la combustione. Può provocare l’infiammabilità spontanea delle materie organiche, in particolare oli, grassi o materie da loro impregnate.
L’inalazione di ossigeno puro gassoso non è dannosa per l’organismo, salvo casi di esposizione prolungata che possono provocare fenomeni d’iperossia.
L’ossigeno liquido, genera vapori freddi più pesanti di quello dell’ossigeno allo stato gassoso.
Il contatto con oli, grassi, tessuti, legno, vernici e sporcizia può provocare reazioni violente ed infine può provocare gravi lesioni alla pelle.
Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “ossigeno” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere bianco.
- Protossido d’Azoto (N2O): in condizioni normali è un gas incolore, non irritante ed inodore.
È un prodotto relativamente stabile, poco reattivo in condizioni normali e debolmente anestetico (narcotico).
È un gas comburente in presenza di altri gas e vapori infiammabili. Inoltre è più pesante dell’aria e pertanto tende ad accumularsi verso il basso (fosse, tombini, cunicoli, ecc.).
Il protossido d’azoto liquido può provocare gravi lesioni alla pelle ed aumenta rapidamente di volume quando si riscalda.
Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “protossido d’azoto” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere blu.
- Anidride Carbonica (CO2): è un prodotto fondamentale della combustione di tutte le sostanze organiche.
In ambito ospedaliero è utilizzata in miscela con altri gas, per emogasanalisi o in terapia viste le sue particolari caratteristiche di vaso dilatatore.
A temperature superiori di 31°C (temperatura critica) si trova sotto forma gassosa indipendentemente dalla pressione. È un gas asfissiante (se > 7%) ed è più pesante dell’aria.
La sua decompressione produce freddo (ghiaccio secco). Non è combustibile né comburente.
Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “anidride carbonica” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere grigia.
Per quanto riguarda il rischio di esposizione a gas anestetici (protossido d’azoto e i composti alogenati, quali alotano, enflorano, isoflorano, metossi-fluorano) occorre che al momento dell’uso siano attuate una serie di misure comportamentali e di tecnica anestesiologica:
- controllare sempre la perfetta chiusura dei flaconi degli anestetici alogenati
- controllare la perfetta tenuta dei tubi e raccordi e sostituire gli stessi in caso di riscontro di anomalie
- controllare l’efficienza dei sistemi di ventilazione
- controllare periodicamente gli apparecchi erogatori dei quali occorre garantire la perfetta tenuta
- posizionare correttamente il tubo endotracheale o la maschera facciale e fare in modo che il loro inserimento avvenga a circuito chiuso
- utilizzare in modo corretto l’evacuatore di gas anestetici
Tutti i gas medicinali sopra descritti sono stoccati generalmente ad alta pressione in bombole o a pressione più bassa in contenitori criogeni.
I rischi derivanti dalla bombole sono:
- poca stabilità – cadute
- alta pressione – elevata energia latente
- esposizione a freddo artificiale – infragilimento
- esposizione a caldo eccessivo – aumento di pressione
Alcune tra le principali prescrizioni di sicurezza nella movimentazione delle bombole sono:
- tutte le bombole devono essere provviste dell’apposito cappellotto di protezione delle valvole
- devono essere maneggiate con cura evitando urti violenti
- per il sollevamento non devono mai essere usati ferri o catene, ma gabbie, cestelli, ecc.
- non utilizzare mai le bombole come rulli, supporti, incudini, ecc.
- durante il maneggio utilizzare i D.P.I. (guanti, scarpe antinfortunistiche, ecc.).
Per individuare il gas è essenziale riferirsi sempre all’etichetta apposta sulla bombola e in particolare al colore dell’ogiva, che deve essere:
- ossigeno: bianco
- protossido d’azoto: blu
- biossido di carbonio: grigio
- azoto: nero
- aria medicinale: bianco-nero
- elio: marrone
- idrogeno: rosso
- acetilene: marrone-rossiccio
- cloro: giallo
Esposizione a lattice
È bene ricordare anche l’esposizione a lattice di gomma naturale, derivante principalmente dall’utilizzo di guanti.
I sintomi ed i segni conseguenti alla sensibilizzazione al lattice possono essere:
- localizzati (in sede di contatto)
- generalizzati (a carico di cute e mucose, dell’apparato respiratorio)
Si possono presentare quindi quadri clinici di: orticaria localizzata o generalizzata, rinite, asma bronchiale, edema della glottide, dermatite da contatto immediata, ecc…
Esempi di prodotti che possono contenere lattice sono: guanti, cerotti, elastici, scarpe, gomma per cancellare, ecc…
Attualmente non sono disponibili trattamenti per la cura dell’allergia al lattice; il provvedimento preventivo più efficace è certamente l’impiego di guanti privi di lattice o comunque modelli a basso contenuto di proteine libere e senza polvere lubrificante interna.
Inoltre i guanti devono essere indossati su mani pulite e ben asciugate subito prima di iniziare le manovre a rischio e rimossi al termine delle stesse con un immediato lavaggio delle mani.
Stress lavoro correlato
Da numerose indagini è risultato che i lavoratori in strutture sanitarie sono particolarmente esposti allo stress da lavoro correlato, a causa dei pesanti orari lavorativi su turni, dell’alto carico di lavoro mentale, della scarsa controllabilità e programmazione degli eventi.
In particolare è stata riscontrata un’alta percentuale di soggetti colpiti da “burnout”, ovvero una patologia che trae origine dallo stress che colpisce chi fa una professione assistenziale, come è appunto la professione sanitaria.
Per gli operatori sanitari, si hanno quattro fasi patologiche: la prima è quella dell’entusiasmo idealistico, quella che porta il soggetto a scegliere un lavoro assistenziale; la seconda, detta di stagnazione, in cui l’entusiasmo comincia a diminuire a causa delle aspettative disilluse; la terza è di frustrazione, in cui il soggetto si sente inutile e inadeguato, in questa fase si manifestano atteggiamenti di fuga dall’ambiente lavorativo o aggressivi ; infine l’apatia, ovvero la totale perdita di interesse verso il mondo esterno in generale e quello lavorativo in particolare.
Come per tutte le altre professioni è necessario che il datore di lavoro valuti, si preoccupi di eliminare, o perlomeno arginare, i fattori che causano stress da lavoro correlato.
Infatti non solo il lavoratore sta male e si trova in una condizione di disagio, ma può arrecare anche danni all’azienda, oltre che ai pazienti/clienti, sia in termini di una maggiorazione delle assenze per malattia, sia in termini di rendimento, a causa di disattenzioni e svogliatezza.
Come si può immaginare una situazione di questo genere in ambito sanitario può portare problemi anche molto gravi.
Lavoro Notturno
Il D.Lgs. 532/99 recante disposizioni in materia di lavoro notturno definisce:
- lavoro notturno:
- l’attività svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino
- lavoratore notturno:
- qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero
- qualsiasi lavoratore che svolga, in via non eccezionale, durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro normale secondo le norme definite dal contratto collettivo nazionale di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale
L’alterazione delle condizioni di salute dei turnisti dipende oltre che dall’alterazione dei ritmi biologici (sfera biologica) anche dalle interferenze sulle abitudini alimentari e di sonno dei soggetti esposti (sfera lavorativa) e dalle eventuali interferenze sulla vita di relazione (sfera relazionale).
Il sonno è la prima attività a subire modifiche dal lavoro a turni.
Una riduzione delle ore di sonno si determina già nel corso del turno mattutino in relazione all’alzata precoce.
Nel turno notturno la riduzione del sonno è più vistosa in presenza di situazioni familiari ed abitative sfavorevoli, che limitano la possibilità di recupero successivo.
Non solo la quantità di sonno ma anche la qualità si altera con il lavoro a turno a causa della perturbazione delle fasi del sonno che riducono i periodi di sonno profondo e di sonno REM, ciò determina un minor effetto ristoratore del sonno che si accentua quando si dorme di giorno.
Dal punto di vista legislativo, i principali riferimento sono:
- Legge 25/1999
- Lgs 532 del 26 novembre 1999 (che regola il lavoro notturno negli enti pubblici)
- Lgs 66 dell’8/04/2003 (“Attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce concernenti taluni aspetti della organizzazione dell’orario di lavoro”).
Tra le altre disposizioni, queste norme vietano il lavoro notturno alle donne in gravidanza e fino al compimento del primo anno di età del bambino e prevedono particolari disposizioni per la lavoratrice madre (o il padre) di un figlio di età inferiore a 3 anni, per i genitori affidatari di un figlio di età inferiore a 12 anni, per coloro che hanno a carico un soggetto disabile (nello specifico si veda la valutazione per la salute delle lavoratrici madri, puerpere o in allattamento fino a sette mesi dopo il parto ai sensi del D.Lgs. 151/2001).
Occorre quindi valutare le implicazioni che il lavoro a turni determina sulla vita e sulla salute dei lavoratori. In particolare tali lavoratori, se non già soggetti a controllo periodico obbligatorio da parte di un Medico Competente, dovrebbero esser periodicamente sottoposti a visita sanitaria allo scopo di evidenziare il più precocemente possibile i segni ed i sintomi di alterazione.
Inoltre, è opportuno effettuare un’indagine che approfondisca le implicazioni di tale organizzazione del lavoro sui diversi aspetti della vita relazionale e lavorativa dei turnisti e sulle ricadute che si determinano sulla loro salute.
La valutazione deve avvenire attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare l’assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi.
Nella seconda parte dedicata a “LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI OSPEDALI”, saranno esaminati altri rischi ai quali sono esposti i lavoratori, tra i quali quelli derivanti dalla movimentazione manuale dei pazienti e dei carichi, dall’utilizzo di attrezzature e quindi i rischi elettrici, meccanici, le radiazioni elettromagnetiche, nonché le relative misure di prevenzione e protezione per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, comprese le lavoratrici madri.