
La ristorazione collettiva biologica e le procedure per l’importazione di prodotti biologici da Paesi terzi sono solo alcuni degli aspetti toccati dal nuovo decreto ministeriale delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali entrato in vigore il 27 ottobre scorso.
La gran parte delle modifiche fatte coinvolge il mondo della produzione primaria, interessando:
- gli allevamenti biologici che devono introdurre animali di origine non biologica,
- l’alternanza dei cicli colturali nelle imprese che producono riso,
- le nuove metodologie di trasmissione informatica dei dati nella comunicazione tra aziende e istituzioni.
Riteniamo però interessante porre un accento su quanto descritto nell’art. 2 del Decreto in base al quale, in materia di ristorazione collettiva biologica, “… nelle more dell’adozione della normativa nazionale, il Ministero riconosce norme private che risultino conformi alle procedure ed ai parametri minimi individuati”.
Questo tardivo accorgimento, emesso quando in sede di Unione Europea già si discute da anni sulla riforma del regolamento della produzione biologica, chiarisce quali debbano essere i parametri minimi, che peraltro richiamano degli aspetti essenziali per tutte le produzioni bio.
In particolare devono essere rispettati i seguenti requisiti minimi:
- conformità alle regole di preparazione degli alimenti previste dal Reg. (CE) 834/2007 e dal Reg. (CE) 889/2008 (è cioè richiesto, tra l’altro, che la produzione di alimenti biologici, nelle imprese che producono anche alimenti di tipo tradizionale, avvenga in locali o in momenti diversi dalla produzione non biologica; è inoltre consentito l’utilizzo di soli additivi autorizzati nel biologico);
- affinché una preparazione possa essere definita “piatto biologico”, è necessario che la pietanza sia composta da almeno il 95% di ingredienti biologici di origine agricola (in peso, esclusi sale ed acqua);
- perché una preparazione sia definita “piatto con ingredienti biologici”, la pietanza deve essere composta da almeno un ingrediente biologico di origine agricola;
- è vietato l’utilizzo dello stesso ingrediente biologico e non biologico da parte di un’unità produttiva, fatte salve le unità produttive dotate di sistema di contabilità a livello di singolo piatto (registro di carico/scarico).
I disciplinari in questione devono prevedere opportuni obblighi di informazione al consumatore in merito alla percentuale complessiva di utilizzo di ingredienti di origine agricola biologica (calcolata come incidenza sul valore totale degli acquisti di ingredienti di origine agricola) da parte dell’esercizio.
È tuttavia ancora presto per pensare di dare il via ad una ristorazione collettiva dotata di marchio biologico, perché nell’art. 11 dello stesso decreto si precisa che “… tutti gli aspetti applicativi, procedurali e di controllo verranno regolamentati con apposita circolare”.
Occorrerà pertanto attendere ulteriori definizioni in merito.
Altra notizia di rilievo è la semplificazione delle procedure per tutte le attività che intendono importare alimenti bio da Paesi terzi, ossia paesi non UE.
È infatti stato abrogato il comma che descriveva la procedura per ottenere concessione e rinnovo dell’autorizzazione all’importazione da Pesi terzi, mantenendo di fatto come unica procedura necessaria la registrazione all’elenco nazionale degli importatori, subordinata al riconoscimento dei requisiti richiesti dall’Organismo di Controllo prescelto ed al controllo periodico da parte dello stesso Organismo.
Il nuovo Decreto entrato in vigore non modifica invece il parametro in base al quale in un prodotto trasformato, affinché possa essere etichettato come biologico, almeno il 50% in peso degli ingredienti debba essere di origine agricola, e che tra questi almeno il 95% in peso derivi proprio da agricoltura biologica.
Invariato rimane anche il contenuto del Decreto 18534 del 27 novembre 2009 in merito all’etichettatura dei prodotti biologici, mantenendo obbligatorio indicare in etichetta:
- la dicitura “IT BIO” e a seguire il numero di codice dell’Organismo di Controllo
- fatte salve le disposizioni in materia di etichettatura, deve essere riportato nome o ragione sociale dell’operatore che ha effettuato la preparazione più recente e il codice identificativo attribuitogli dall’Organismo di Controllo.