
Una recente sentenza della corte di cassazione ha confermato la condanna di un ristoratore per la detenzione di astici e aragoste in frigorifero con le chele legate, riportando all’attenzione del pubblico i problemi connessi alla commercializzazione di prodotti ittici vivi.
Se da un lato, infatti, resta diffusa tra i consumatori la pratica di acquistare prodotti della pesca vivi (sicuramente freschi e quindi di elevato pregio), dall’altro cresce sempre più l’attenzione da parte di media, associazioni animaliste e della popolazione generale rispetto alle tematiche del benessere animale.
Le preoccupazioni dei cittadini e delle associazioni che si occupano di difesa degli animali non si rivolgono solo agli animali di affezione, ma anche agli animali destinati al consumo umano quali astici e aragoste vive, e alle modalità con cui questi animali vengono gestiti durante il commercio.
Sono sempre più numerose, infatti, le denunce ed i verbali da parte delle autorità competenti in merito al presunto maltrattamento dei crostacei in ristoranti e pescherie.
Ma come è regolamentato questo settore?
Attualmente non esiste una normativa vigente che disciplini e garantisca il benessere dei prodotti della pesca mantenuti vivi.
Nel 2007, però, il centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale (CReNBA) dell’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, su richiesta da parte della città di Roma e delle associazioni animaliste, ha formulato un parere relativo alla pratica di porre in esposizione crostacei vivi su ghiaccio e/o con chele legate, dal titolo “Sofferenze di aragoste e astici vivi con chele legate e su letto di ghiaccio durante la fase di commercializzazione”.
Il parere stabilisce che il posizionamento degli animali sul ghiaccio risulta inappropriato in quanto causa di sofferenza, così come lo sono la detenzione di crostacei vivi al di fuori degli acquari e la pratica di mantenere le chele permanentemente legate.
Un simile parere crea non poche difficoltà ad alcune piccole attività quali pescherie, ristoranti, banchi di pesce, che si trovano a dover sostenere delle spese extra per l’acquisto e la gestione degli acquari necessari al mantenimento dei crostacei vivi in fase di vendita, prodotti che in realtà rappresentano solo una voce commerciale per loro marginale.
Inoltre l’impossibilità di mantenere le chele legate ai crostacei vivi potrebbe comportare mutilazioni e mortalità di gran parte degli animali dovute alla loro aggressività, causando perdite insostenibili per gli operatori del settore alimentare.
Riguardo l’atteggiamento delle Autorità giudiziarie nei confronti del parere, ci sono state differenze interpretative che hanno portato ad atteggiamenti decisamente contrastanti nell’emissione di giudizi.
In alcuni casi si sono avute condanne per maltrattamento di animali o per detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, in altri casi ci sono state al contrario sentenze di assoluzione per inesistenza di reato o assenza di pena per tenuità del fatto.
E come si coniuga la tutela del benessere animale con il quadro normativo vigente nel settore alimentare?
Sicuramente è giusto e doveroso che gli operatori del settore alimentare rispettino i requisiti relativi al benessere animale, ma è prioritario che vengano garantiti prima di tutti gli obiettivi generali in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
La tutela del benessere dei crostacei nella fase di vendita e somministrazione non può, infatti, essere perseguita a scapito della sicurezza alimentare e della tutela della salute del consumatore.
Bisogna ricordare che a livello normativo (art.2 del Reg. CE 178/02) gli animali esposti vivi sui banchi ai fini della vendita vengono considerati a tutti gli effetti già “alimento” e non più animali.
In quanto “alimento” devono sottostare a tutte le norme di igiene stabilite per gli alimenti di origine animale dal Reg. CE 853/04.
Secondo tale normativa durante lo stoccaggio e il trasporto i prodotti della pesca vivi devono essere mantenuti a temperatura e in condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare o la loro vitalità.
La conservazione in acquari anziché in ghiaccio o frigorifero rappresenta la modalità più corretta di gestione del prodotto?
Il CeIRSA (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare) ha recentemente effettuato una revisione della letteratura di settore proprio al fine di rispondere alle richieste di chiarimenti da parte dell’autorità giudiziaria in merito alle corrette modalità di gestione dei prodotti ittici vivi rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza alimentare e allo stesso tempo il benessere animale.
I dati scientifici al momento disponibili non hanno consentito di evidenziare vantaggi significativi, in termini di minori sofferenze dell’animale, nell’impiego di acquari rispetto all’esposizione su ghiaccio o alle altre modalità di conservazione.
Va tenuto conto, tra l’altro, del fatto che una non corretta gestione dell’acquario (parametri chimici/temperatura fuori controllo, mancata acclimatazione per passaggi entro poche ore) può causare stress e sofferenza negli animali con perdite di individui.
Dal punto di vista della sicurezza alimentare, invece, l’esposizione dei crostacei a temperature di 12/14°C, notevolmente superiori a quelle del ghiaccio fondente (+2/+6°C), potrebbe comportare un’accelerazione del metabolismo del crostaceo e un possibile aumento della contaminazione batterica e dell’alterazione delle carni del crostaceo stesso.
Anche la pratica prevista da linee guida internazionali di praticare il taglio del legamento brachiale come alternativa alla legatura delle chele risulta in realtà essere più invasiva e potrebbe portare ad un aumento della possibilità di infezione e morte degli individui.
Al momento quindi, secondo il CeIRSA, l’esposizione in presenza di ghiaccio o in stato di refrigerazione (+2/+4°C) e il mantenimento della legatura delle chele possono essere considerate pratiche applicabili nelle fasi di vendita e somministrazione al consumatore finale in quanto risultano accettabili in base al rapporto danno-beneficio alla luce dell’impossibilità di assicurare un più elevato livello di benessere animale, con pari garanzie di sicurezza e qualità al consumo, interessi prioritariamente tutelati dal legislatore europeo.
Resta comunque auspicabile e di fondamentale importanza la disponibilità di maggiori dati scientifici che dimostrino quali siano le migliori condizioni di conservazione/esposizione dei crostacei vivi al fine di garantire un maggior livello di benessere animale senza mettere a rischio la sicurezza e gli interessi della popolazione.
È inoltre auspicabile che vengano emanate delle linee guida realmente e facilmente applicabili per i ristoratori ed i commercianti di prodotti ittici che consentano a questi operatori di esercitare la propria attività senza eccessivi oneri e senza incorrere in rischi di natura legale.