Sarebbe tuttavia meglio dire “caro importatore ti rispondo”; alcune (forse tutte) le aziende che hanno rapporti commerciali con gli U.S.A. e che importano/importeranno alimenti in quel mercato, in questi giorni stanno ricevendo delle comunicazioni da parte dei propri importatori sul territorio U.S.A. che risuonano come un campanello d’allarme.
Il sunto di quanto scritto in queste comunicazioni è che le aziende devono fornire agli importatori le garanzie necessarie per poter esportare i prodotti (il tutto entro il 31 Maggio 2017); tali garanzie possono essere riassunte nei seguenti punti:
Modificare le tabelle nutrizionali e adattarle alla nuova normativa;
Identificare un PCQI e completare il Food Safety Preventive Control Plan;
Gestire e ridurre al minimo il rischio di cross-contamination da allergeni;
Adeguarsi ai requisiti del FSVP;
Aggiornare la propria registrazione sul sito dell’FDA;
Niente panico! Tali comunicazioni sono solo l’effetto di una sovrapposizione di scadenze.
Il FSVP è una norma il cui rispetto compete agli importatori e per la quale essi devono fornire documentazione alla FDA.
La scadenza dell’applicazione si è verificata appunto lo scorso 31 Maggio, data entro la quale gli importatori hanno avuto l’obbligo di soddisfarne tutti i requisiti.
Tuttavia vi sono delle precisazioni da fare; questa data è stata pianificata circa 8 mesi dopo la scadenza imposta alle aziende per adeguarsi ai nuovi obblighi dell’FSMA (Settembre 2016), perciò con un certo filo logico.
Non si è però tenuto conto delle deroghe previste per le piccole aziende (presumibilmente il 99% delle aziende non operanti su suolo Statunitense) le quali hanno avuto un anno in più di tempo per ottemperare alle novità normative (Settembre 2017).
Si è creato quindi un apparente paradosso per il quale gli importatori stanno chiedendo documenti e aggiornamenti per i quali non è ancora arrivata la data ultima di adeguamento.
C’è da dire che gli importatori sanno perfettamente che molte aziende non hanno ancora ottemperato agli obblighi del FSMA.
Questo traspare anche dal tono delle comunicazioni inviate che utilizzano molto spesso il condizionale (should, could ecc.), ad indicare non tanto un obbligo quanto una cortese richiesta.
Probabilmente la richiesta scaturisce dalla necessità di reperire i documenti al più presto possibile, soprattutto per evitare l’accumularsi di scartoffie nei pressi della data di scadenza.
Quello che le aziende possono/devono fare in questo caso è solamente fornire i documenti già in loro possesso, comunicando inoltre che la documentazione mancante sarà inviata, non appena pronta, entro la scadenza stabilita di Settembre 2017.
Per inciso, le novità relative alla tabella nutrizionale dovranno essere applicate (sempre per le piccole aziende) a partire dal Luglio 2019, quindi ben oltre le scadenze che abbiamo finora discusso.
È perfettamente legittimo infatti, fino a tale data, commercializzare alimenti con la vecchia tabella nutrizionale.
Il mondo dell’Import Statunitense, come abbiamo visto, sta certamente attraversando un momento di subbuglio, soprattutto alla luce delle tante novità; quello che si sta portando avanti è un percorso che coinvolge tanto le aziende quanto gli importatori e solo con la massima trasparenza e collaborazione si potrà arrivare al traguardo!
La prossima applicazione del Food Safety Modernization Act implica alcune modifiche da applicare alle procedure interne aziendali messe in atto per la sicurezza alimentare.
Le aziende che intendono quindi esportare i loro prodotti nel mercato statunitense devono adeguare il proprio piano di autocontrollo a quanto previsto dal Food Safety Modernization Act stesso.
Un argomento su cui Unione Europea e USA differiscono è la gestione allergeni, anche detta Food Allergen Preventive Control.
La presenza di allergeni non dichiarati è una delle maggiori cause di richiamo di prodotti alimentari negli USA.
La prima grande differenza è l’elenco degli alimenti che per gli Stati Uniti sono considerati allergeni. L’FDA ha stabilito gli “8 major food allergen” che sono i seguenti:
Come è evidente, alcuni alimenti definiti allergeni nell’Unione Europea non vengono presi in considerazione (come per esempio la senape o i lupini).
E’ importante inoltre precisare che all’interno della categoria della frutta a guscio gli statunitensi fanno rientrare anche le castagne, le noci di cocco e i pinoli (non considerati invece allergeni in UE).
Così come viene considerato allergene l’alimento GRANO e non il glutine (escludendo quindi tutti gli altri cereali che contengono glutine).
Queste differenze sono fondamentali e devono essere assolutamente prese in considerazione nel caso di produzione di alimenti destinati al mercato statunitense.
Come già abbiamo scritto in articoli precedenti, il Food Safety Modernization Act (FSMA) prevede che le aziende implementino un Preventive Food Safety Systems, che deve includere, tra gli altri aspetti, anche dei Food Allergen preventive controls documentati per prevenire il cosiddetto cross- contact da allergeni e per assicurare una corretta dichiarazione degli allergeni stessi al consumatore.
Il primo passo che deve essere fatto è naturalmente l’analisi del rischio allergeni, per ogni linea di produzione.
L’azienda deve procedere con la prima identificazione degli allergeni in ognuna delle materie prime utilizzate.
Per fare questo naturalmente sarà fondamentale avere tutte le informazioni necessarie dal fornitore.
FSPCA – Preventive controls for human food – first edition 2016
Il secondo passo previsto è quello di verificare la possibilità di contaminazione durante le diverse fasi di lavorazione in cui vengono utilizzati ingredienti che contengono allergeni.
Si deve procedere quindi all’analisi del rischio allergeni per ognuna delle diverse fasi.
Laddove dall’analisi (effettuata secondo quanto previsto dal Preventive Food Safety Systems) emerga la necessità di un preventive control e la necessità di applicare lo stesso nella fase che si sta considerando, devono essere esplicitati anche i seguenti aspetti:
il rischio
il criterio di valutazione utilizzato
il sistema di monitoraggio che deve essere adottato per ridurre al minimo al rischio
le azioni correttive
le attività di verifica
le registrazioni che devono essere effettuate.
Da notare che tra le verifiche deve essere sempre presa in considerazione l’attività di controllo effettuata dal PCQI (Preventive Controls Qualified Individual), che deve avere una frequenza massima di 7 giorni lavorativi.
La gestione degli allergeni e la comunicazione al consumatore sono talmente importanti da ritenere necessario il controllo del packaging in fase di accettazione dello stesso, o al massimo prima di essere introdotto in produzione per essere utilizzato.
Non è quindi sufficiente validare e approvare il packaging in fase di revisione dello stesso, ma deve essere effettuato ad ogni sua stampa o consegna
A seguito delle risultanze emerse dall’analisi del rischio, devono essere implementate le procedure necessarie.
Devono essere quindi schedulate le diverse tipologie di prodotti in funzione degli allergeni contenuti e quindi dovrà essere effettuata una pianificazione della produzione in funzione degli allergeni presenti.
Se necessario, dovrà essere prevista la pianificazione della sanificazione completa da eseguire tra una lavorazione e l’altra.
Tutte le procedure implementate devono essere naturalmente descritte e si deve dare evidenza dell’applicazione delle stesse.
Viene prevista la compilazione dell’ Allergen Label Check Log (per la verifica della correttezza delle etichette, per quanto riguarda la dichiarazione degli allergeni),
FSPCA – Preventive controls for human food – first edition 2016
e l’Allergen Run Order Record (per la correttezza dell’applicazione della pianificazione della produzione).
FSPCA – Preventive controls for human food – first edition 2016
Naturalmente bisognerà dare evidenza anche dell’avvenuta sanificazione, con una registrazione giornaliera dell’avvenuta sanificazione.
Un’altra importante considerazione da fare riguarda la differenza di etichettatura dei prodotti destinati al consumatore finale.
Il Food Allergen Preventive Control prevede in maniera chiara che diciture precauzionali in etichetta relative a presenza accidentale di allergeni per cross-contact (le comunissime diciture tipo “può contenere tracce di” molto diffuse in Europa), non possono compensare una gestione delle GMP poco efficace.
L’azienda deve effettuare una valutazione accurata del rischio allergeni e quindi stabilire delle procedure ben precise.
Gli USA sono talmente sensibili alla gestione degli allergeni, che alcune aziende gestiscono l’indicazione degli allergeni in etichetta addirittura come un CCP, gestione molto rara in Europa.
Restano naturalmente invariate tutti i principi basilari di buone norme di lavorazione (come formazione del personale, abbigliamento del personale, stoccaggio dei prodotti, ecc.) valide e assolutamente opportune sia in Europa che negli USA.
L’HACCP esiste ancora? O lo dobbiamo “rottamare” con l’ HARPC?
I sistemi di gestione per la sicurezza alimentare secondo il GFSI – quali gli europei BRC e IFS – sono all’altezza del FSMA americano?
Per molte aziende che esportano negli USA (ma anche per il mercato interno americano) è già in vigore il Preventive Controls for Human Food Regulations che fa parte del FSMA (Food Safety Modernization Act); per la maggior parte delle aziende (al di sotto dei 500 dipendenti), lo sarà entro settembre 2017.
Cosa chiede l’ HARPC rispetto all’HACCP?
Iniziamo intanto dall’acronimo:
HARPC: Hazard Analysis and Risk-based Preventive Controls for Human Food
HACCP: Hazard Analysis and Critical Control Point
Dove sono spariti I Critical Control Point? E cosa sono I Preventive Controls?
Rassicuriamo subito il lettore affermando che, come per la prima legge della termodinamica, nulla si crea e nulla si distrugge, ma si tutto trasforma.
Se i Preventive Controls sono misure di controllo, queste comprenderanno tutti i nostri CCP, PRPop, CP.
Quindi i Preventive Controls sono delle misure di controllo, e come tali devono essere monitorate e registrate.
Chi decide quali sono i Preventive Controls necessari per un’azienda di produzione alimentare?
Lo decide il PCQI (Preventive Control Qualified Individual) insieme al Team per la sicurezza alimentare sulla base di un’analisi dei pericoli e valutazione dei rischi.
Rispetto al tipico approccio europeo, l’analisi dei pericoli, secondo il Preventive Control for Human Food, è leggermente diversa ma non cambia nei concetti fondamentali.
Risk-bases Preventive Controls:
è uno dei principi cardine, significa che bisogna avere un approccio proattivo, quindi preventivo rispetto ai pericoli per la sicurezza alimentare e NON reattivo ovvero aspettare che una cosa accada per porvi rimedio.
I Preventive Controls sono pensati e strutturati solo se supportati da altri Programmi quali le GMPs (tutti, senza esclusioni).
I più noti sistemi di gestione volontaria per la Sicurezza Alimentare (BRC, IFS o ISO 22000) già adottano un sistema proattivo di misure di controllo basato su GMPs e/o Prerequisite Programs.
I Prerequisite Programs o Programmi di Perequisiti sono tutte quelle procedure, disposizioni o condizioni e attività di base, necessarie per mantenere un ambiente di lavoro adatto, dal punto di vista igienico, alla produzione.
Sono ad esempio Programmi di Prerequisiti la maggior parte delle prescrizioni del nostro Allegato II del Reg 852/04/CE.
Sia i Programmi di prerequisiti che le GMPs sono la base fondamentale su cui si può costruire un qualsiasi Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare o Food Safety System così come indicato dal Manuale del Preventive Controls for Human Food Edizione 2016 (cap.1 pag 16)
Naturalmente in tutto questo non si deve dimenticare la presenza di un efficace Piano di Recall ovvero un sistema di rintracciabilità e un Piano di Richiamo da attuare sia secondo il Reg 178/02/CE che secondo BRC, IFS, ISO 22000.
Tale impostazione non è tanto diversa da quella prevista da un importante documento che la Commissione Europea ha pubblicato introducendo il concetto di Food Management System dove il Sistema, immaginato a forma piramidale, vede una base di GMPs/Programmi di prerequsiti, affiancati da un sistema di rintracciabilità sui quali poggia un sistema HACCP.
(tratto da: Comunicazione Commissione relativa all’attuazione dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare riguardanti i programmi di prerequisiti (PRP) e le procedure basate sui principi del sistema HACCP, compresa l’agevolazione/la flessibilità in materia di attuazione in determinate imprese alimentari del 30 luglio 2016 (2016/C 278/01)).
Che cosa richiede FSMA? Quali sono le novità rispetto ad altri sistemi?
Sicuramente l’approccio.
È un cambiamento di punto di vista; di prospettiva, la ricerca innanzi tutto di un’analisi dei pericoli ampia come quella che siamo abituati a vedere nelle più note norme volontarie.
Inoltre l’attenzione viene spostata non tanto sul nome della misura di controllo (CCP, PRPop,CP ecc) quanto sulla sua efficacia in termini di prevenzione e il suo monitoraggio, verifica e validazione.
La principale differenza sono i Preventive Controls ovvero quelle misure di controllo necessarie per ridurre ad un livello accettabile o eliminare, la probabilità che un pericolo si presenti su un prodotto alimentare.
I Preventive Controls devono essere tutti registrati.
Di seguito la classificazione dei Preventive Controls:
Process Controls
Allergen Controls
Sanitation Controls
Supply-Chain Controls.
Process Preventive Controls
I Process Controls ovvero i controlli di processo includono tutte quelle procedure e/o istruzioni scritte mirate al controllo dei parametri di processo dal punto di vista della sicurezza alimentare.
I parametri già definiti con sistemi di gestione preesistenti di solito sono validi anche per il Food Safety Plan.
Spesso i Process Preventive Controls comprendono CCP e PRPop ed è quindi necessario individuare limiti critici.
Ma possono anche comprendere PRP o CP e sono quindi necessari dei limiti operativi (e non critici).
Esempi di Process Preventive Controls possono essere:
Tempo-Temperatura, ph, quantitativo di un additivo, Aw, controllo del vuoto, aggraffatura, funzionamento raggi x o metal detector e molti altri.
Allergen Preventive Controls
Negli USA c’è molta attenzione su questo tema.
Gli Allergen Controls includono tutte quelle procedure necessarie per tenere sotto controllo il pericolo della contaminazione involontaria da allergeni (definita cross-contac) sia durante la produzione che durante altre fasi della lavorazione come ad esempio lo stoccaggio.
L’accurato controllo dell’etichettatura per l’esattezza degli allergeni, sia all’arrivo di ogni lotto di packaging, che in fase di rilascio del prodotto, è una delle particolari richieste di controlli registrati previsti dal Food Safety Plan.
In merito agli allergeni le regole dell’etichettatura USA non contemplano l’utilizzo di frasi quali “May content” ovvero “può contenere tracce di…” è quindi necessaria un’approfondita analisi del pericolo e relativo rischio e quindi un’accurata gestione degli allergeni.
È necessario introdurre un Allergen Preventive Controls quando esiste la possibilità che un allergene finisca su un prodotto per contaminazione involontaria durante la lavorazione o per contaminazione da materia prima.
Quando è necessaria una operazione di pulizia tra una lavorazione e l’altra per eliminare il pericolo di contaminazione da allergeni, questo tipo di operazione verrà definita “Sanitation and Allegern Controls”.
Sicuramente le valutazioni eseguite sugli allergeni in un contesto BRC/IFS certificato, saranno sufficienti purchè fatte sulla lista degli allergeni americana e non solo europea viste le importanti differenze fra le due liste.
È necessario documentare una formazione mirata e specifica sugli alimenti considerati allergeni negli USA.
Sanitation Preventive Controls
I Sanitation Controls ovvero Controlli di Sanificazione, includono procedure, istruzioni o quant’altro (sempre documentato) mirate al controllo di contaminazioni di tipo micorbiologico (da ambiente di lavoro, da personale) o chimico compresi gli allergeni.
Potrebbe essere necessario introdurre un Sanitation Preventive Controls quando è possibile la contaminazione per esempio da patogeni quali Listeria monocytogenes e Salmonella su prodotti esporti Ready to eat (RTE); per Cross Contamination da persone o attrezzature non sanificate; per prevenire la Cross Contact ovvero la contaminazione involontaria da allergeni.
Supply-Chain Preventive Controls
Il Food Safety Plan richiede che ci sia un Supply Chain Preventive Controls ovvero che i fornitori siano qualificati e controllati in modo che siano garantite le materie prime che entrano in uno stabilimento di produzione.
Per ogni fornitore, e relativa materia prima, devono essere valutare le misure di controllo necessarie e quindi attuarle.
Se ritenuto necessario devono essere effettuati audit a fornitore, meglio se condotti da un organismo esterno.
Il principio su cui si basa, spesso sottovalutato, è che capire a fondo i pericoli associati ad una singola materia prima e l’impatto che il fornitore può avere sulla sua gestione, può essere determinante per tenere sotto controllo il pericolo stesso nelle fasi successive all’interno dello stabilimento di produzione.
L’ottenimento di garanzie documentate da parte dei fornitori non è affatto scontata e spesso ci sono degli intermediari che non facilitano il compito e che non hanno interesse affinché sia svelato il nome del produttore.
Non è un caso che fra le novità del BRC versione 7 ci sia stato proprio un approfondimento su questo tema con dei nuovi requisiti che a tutt’oggi non sono di facile gestione.
In quest’ottica, l’approccio americano, vede nell’audit a fornitore, eseguito preferibilmente da una persona indipendente, la soluzione per avere le rassicurazioni necessarie a garantire la salubrità del prodotto finito.
Qualora dall’analisi dei pericoli si dovesse evidenziare che una fase successiva del processo non è sufficiente per eliminare o ridurre a livello accettabile un pericolo, in questo caso si dovrà applicare una misura di controllo sul fornitore: Supply-Chain Preventive Controls.
P.C.Q.I. (Preventive Control Qualified Individual).
Chi è il PCQI?
Per avere la qualifica è necessario seguire il corso previsto dal FSPCA (Food Safety Preventive Controls Alliance)?
Il PCQI è una persona qualificata/preparata che ha superato con successo una formazione per lo sviluppo e l’applicazione del Risk-based Preventive controls.
Tale percorso deve essere equivalente a quello riconosciuto dal FDA con il termine “standardized curriculum”.
In alternativa al corso si deve dimostrare che si ha una preparazione professionale tale da poter sviluppare e applicare un Food Safety Plan.
Sebbene apparentemente facile non è stato ancora chiarito come poter dimostrare di avere le competenze professionali in linea con lo “standardized curriculum” richiesto.
All’interno delle aziende italiane ma anche all’esterno (consulenti) ci sono eccellenze professionali, tuttavia riteniamo utilissimo e necessario il corso proposto proprio per capire la mentalità e il diverso punto di vista per la redazione di un Food Safety Plan/System.
Sicuramente è una discriminante importane scegliere un corso che abbia come un docente una persona con esperienza di consulenza e/o audit di altre norme quali BRC, IFS, ISO 22000.
Senza tali competenze il corso può risultare banale e ovvio visto che affronta la gestione della sicurezza alimentare sotto tutti i punti di vista.
I corsi per il titolo di PCQI possono essere fatti solo da Lead Instructor qualificati da FSPCA su Preventive Controls for Human Food.
Vai al nostro articolo più recente sul FSMA: Haccp VS Harpc
Un’occasione ghiotta per gli stakeholders del food export americano: Mr Colin McIff – direttore Europa US Food & Drug Administration -, disponibile per chiarire tutti i dubbi sul Food Safety Modernization Act.
Ospiti della SSICA di Parma, posti seduti esauriti, il 16 novembre scorso, Mr McIff ha presentato i principi generali che regolano soprattutto il prossimo FSVP (Foreign Supplier Verification Program) la cui prossima applicazione è prevista per maggio 2017.
Ha presentato eventuali esclusioni dall’applicazione, anche se sono emersi dubbi in merito alla sovrapposizione di norme già emanate in passato rispetto alle Regulations del FSMA (PCHF o FSVP), e ha chiarito che l’approccio della FDA verso le aziende sarà costruttivo e collaborativo.
Il FSMA non è stato pensato per rallentare l’export verso gli USA, ma al contrario per favorire e incentivare un commercio responsabile e virtuoso rispetto a principi che legano la Sicurezza Alimentare.
Sempre Mr McIff ha ribadito che, il controllo fatto da soggetti terzi, è stato pensato e voluto per mantenere attivo il virtuosismo che ha mosso la redazione dell’intero assetto di Regulations del FSMA.
La FDA ha inoltre già stipulato accordi con Canada e Nuova Zelanda ed è in procinto di chiudere un accordo con l’Australia, per il riconoscimento dei loro sistemi di controllo per la Sicurezza Alimentare.
Ne consegue che il sistema di commercio, con questi Paesi, sarà più rapido.
La buona notizia è che il dialogo fra USA e Europa per un riconoscimento analogo è stato iniziato ma il processo sarà lento anche perché l’accordo dovrà coprire, con un sistema ad “ombrello”, tutti i 28 Paesi della UE.
Nel frattempo il Preventive Control for Human Food (PCHF) è in vigore per le aziende più grandi e settembre 2017 si avvicina sempre di più per le altre aziende.
Nonostante le linee guida ufficiali per la sua applicazione non siano state ancora pubblicate (esiste solo una bozza poco chiarificatrice), i dubbi per le aziende italiane sono molti soprattutto in merito all’applicazione con altri Regolamenti preesistenti, e definizione di aziende/fornitori di piccole dimensioni.
Ma la questione più dibattuta, nel nostro Paese in merito al FSMA, riguarda i requisiti che deve avere il PCQI ovvero colui, o colei, che ha la responsabilità di redigere e/o supervisionare alla redazione del Food Safety Plan ed è l’interlocutore preposto in occasione degli audit della FDA.
Forti della nostra tradizione ed elevata preparazione del personale, non digeriamo bene che un ente, per quanto autorevole, ci imponga un corso per una qualifica che riteniamo di avere già.
Le obiezioni principali delle aziende sono:
Titolo di studio e percorso formativo di lunga data ed elevato livello della figura che di solito ricopre il ruolo di Resp. Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare
Esperienza pluriennale nel settore
Applicazione da diversi anni di norme ben più complesse e stringenti quali BRC e IFS
Critica verso il programma del corso per PCQI perché definito troppo basic.
Le più autorevoli Associazioni di categoria hanno giustamente avanzato questi dubbi ed anche richieste di chiarimento per sapere quali evidenze sono necessarie per evitare il corso e dimostrare la propria competenza.
E se cambiassimo punto di vista?
Qual è il vero obiettivo del nostro sistema produttivo alimentare italiano?
Vincere una questione di principio, far valere la nostra preparazione e autorevolezza oppure fare in modo che queste novità non rallentino troppo il processo e l’export con gli USA diventi il più indolore e produttivo possibile?
Non è una questione di vincitori né vinti ma di opportunità.
La prima reazione che abbiamo avuto in azienda alla lettura del corposo programma per il corso PCQI è stata di “sufficienza”.
Dopo aver approfondito il tema con mezzi propri, aver seguito un corso per PCQI, essere andati negli USA per seguire e ottenere il titolo di Lead Instructor, la visione americana rispetto alla Sicurezza Alimentare è stata più chiara ed è diversa dalla nostra (non più efficace).
Per questo è importante non sottovalutare cosa può dare un corso per PCQI oltre ad un titolo che comunque non fa aprire altre discussioni.
Chiariamo subito che il nostro è il punto di vista di una società di consulenza che sta sul mercato da 45 anni e il cui core business non sono i corsi di formazione, ma la crescita e prosperità dei nostri clienti.
Il modus operativo e teorico di concepire la sicurezza alimentare, secondo gli americani, è diverso dal nostro nonostante i concetti siano gli stessi ma cambia sostanzialmente il vocabolario.
E qui sta la piccola rivoluzione.
Il corso per PCQI ci fa vedere la sicurezza alimentare da un’altra prospettiva e ci costringe a ragionare sui principi fondamentali sui quali abbiamo costruito tutti i nostri sistemi, ma che diamo per scontati da troppo tempo.
Molte aziende ricorderanno quando hanno deciso di applicare standard quali BRC o IFS e forse molte di loro hanno mandato personale a fare qualche corso per chiarirsi le idee e/o chiesto aiuto a consulenti.
Il principio è analogo.
Il PCHF non è così banale anche se sembra esserlo.
Investire risorse economiche e il tempo di personale altamente qualificato per un corso che costringe a ripensare completamente il proprio sistema per metterlo in discussione, smontarlo e rimontarlo secondo una logica diversa, non può che fare del bene a qualunque sistema e rende sicuramente più forte e consapevole il responsabile di turno che dovrà in futuro interloquire con persone che conoscono una unica visione, quella americana.
Proprio perché il PCHF sembra “facile” in realtà non lo è affatto e il programma del corso va vissuto cercando le differenze di approccio che sono molte.
Per esempio:
il controllo della gestione degli allergeni è visto e concepito in modo diverso;
l’analisi dei pericoli tiene in considerazione dati americani e non europei, (le uova pastorizzate sono potenzialmente non sicure, il pericolo radiologico deve essere sempre valutato);
necessità di dare maggiore evindenza alla validazione delle misure
ma soprattutto i Preventive Controls e la loro concezione, non sono una cosa da liquidare con due battute ma un approccio diverso che può diventare molto semplice con la giusta chiave di lettura. E il corso per PCQI fornisce questa chiave di lettura.
Come giustamente Mr McIff ha suggerito, pur non essendoci ancora una posizione chiara da parte della FDA in merito ai requisiti di un PCQI, può essere opportuno seguire un corso che si ritenga valido anche come una occasione.
A chiusura di questa riflessione, che vuole chiaramente incoraggiare le aziende al confronto, si ricorda la pubblicazione, di una Comunicazione della Commissione Europea del 30 luglio 2016 rivolta alle Autorità Competenti, che chiarisce gli elementi cardini e imprescindibili di un Sistema di Gestione per la Sicurezza Alimentare, che va nella stessa direzione del PCHF e riconosce, nella ISO 22000, la norma alla quale ispirarsi.
E guarda caso la ISO 22000 è l’unica ad avere il concetto di PRP operativi che assomigliano molto ai Preventive Controls.
Molti integratori probiotici reclamizzati “gluten free” prodotti per chi soffre di celiachia in realtà non lo sono. Lo dice un nuovo studio americano che ha dimostrato come molti dei prodotti commercializzati negli Stati Uniti contengono la sostanza stessa da evitare: il glutine.
I ricercatori hanno verificato che pazienti celiaci che assumevano probiotici per combattere la celiachia in realtà peggioravano i sintomi. I ricercatori della Columbia University hanno testato 22 prodotti probiotici pubblicizzati come senza glutine e trovato che il 55% contiene livelli rilevanti di glutine. Addirittura a volte alcuni prodotti raggiungono livelli di glutine fino a cinque volte superiori a 20 parti per milione, ossia i livelli massimi consentiti dalla FDA (Food and Drug Administration) per essere etichettati “gluten free”.
Peter Green, direttore del centro per la celiachia della Columbia University, afferma che molti degli integratori reclamizzati “gluten free” in realtà non lo sono e per questo consiglia a chi soffre di celiachia di non assumerli.
In Italia la diffusione di alimenti senza glutine è in forte aumento ed è quindi un’opportunità commerciale importante per le aziende produttrici ma occhio alla normativa per la produzione e commercializzazione dei prodotti gluten free, che nel nostro Paese è stringente sia per i requisiti che per l’etichettatura.