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glifosato erbicida

Il glifosato è il demonio, oppure no?

By Sicurezza AlimentareNo Comments

In occasione della Giornata Mondiale della Salute ci è sembrato doveroso cercare di fare il punto della situazione su quello che, almeno negli ultimi tempi, sembra diventato un pericolo per la salute di molti individui: parliamo del glifosato!

 

Cos’è il glifosato e perché è sotto indagine

 

Il glifosato è un principio attivo presente in moltissimi erbicidi, che vengono comunemente utilizzati in agricoltura per eliminare le piante infestanti.

Sul sito del Ministero della Salute è presente un elenco di prodotti fitosanitari autorizzati e attualmente sono 139 quelli che contengono glifosato e che sono, a vario titolo, utilizzati nelle coltivazioni nostrane.

glifosato-erbicida

L’utilizzo del glifosato ha avuto un impennata negli ultimi anni, soprattutto per effetto dell’immissione sul mercato di sementi “resistenti al glifosato”. In questo modo l’erbicida danneggia solamente le piante effettivamente infestanti, lasciando indenni le coltivazioni di interesse commerciale che sono, appunto, resistenti.

La permanenza del glifosato sulle parti aeree delle piante di comune utilizzo è molto limitata (quasi trascurabile) e non vi è praticamente possibilità di ingerire con l’alimentazione quantità di glifosato apprezzabili.

Inoltre, il database della U.E. su pesticidi e sostanze attive, prevede dei limiti molto bassi per il glifosato su praticamente tutte le piante, aiutando quindi a mantenere un livello di guardia relativamente alle quantità che sarebbe possibile assumerne con la dieta.

Il problema potrebbe presentarsi tuttavia con i residui di erbicidi che penetrano nel suolo e che possono andare ad inquinare la falda acquifera.

Da questo punto di vista possiamo dire che il glifosato è comunque “a bassa penetrazione”  e che difficilmente raggiunge la falda acquifera sotterranea. A tale proposito è interessante il rapporto 2014 dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), nel quale viene confermato quanto appena detto sulla bassa penetrazione e nel quale si assiste ad una diminuzione di utilizzo di glifosato negli ultimi anni, pur basandosi tuttavia su dati del tutto parziali (misurazioni eseguite nella sola Lombardia).

Naturalmente, come per moltissime altre sostanze di sintesi immesse in commercio e che entrano a far parte del ciclo produttivo degli alimenti, sono stati eseguiti molti studi da parte di Organismi indipendenti e non, già a partire dai primi anni 2000, per valutarne l’impatto sulla salute.

È facilmente reperibile  in rete un report della FAO, nel quale il glifosato viene classificato come “a tossicità acuta molto bassa e con nessun effetto negativo rispetto alla cancerogenicità…”

glifosato-oms-efsa

Come tutti gli studi, anche quello sul glifosato ha avuto necessità di continui aggiornamenti, per i continui aggiornamenti nelle tecniche di studio e screening. Attualmente in rete sono due i principali studi che sono molto discussi ee cioè quello dalla WHO (World Health Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità) e dell’EFSA (European Food Safety Authority – Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare).

Se il primo, datato Marzo 2015, include il glifosato nella categoria di cancerogenicità 2A (probabilmente cancerogeno per l’uomo), il secondo ne nega invece la pericolosità per l’uomo.

Chiaramente i due Enti difendono le loro posizioni, sostenendo i rispettivi metodi di ricerca e analisi dei dati, non facendo altro che generare confusione, soprattutto nei non addetti ai lavori che non possono necessariamente avere un approccio critico.

Probabilmente la verità si trova, come sempre, nel mezzo.

 

Gli effetti del glifosato

 

Lo studio della WHO ha effettivamente riscontrato la possibile cancerogenicità del glifosato, eseguendo degli studi in laboratorio, attraverso lo stimolo di cellule umane “in vitro” e eseguendo invece test su animali vivi (topi). Quello che si è visto è uno stress cellulare che è fortemente sospettato di poter degenerare in un tumore.

Tuttavia, come dovrebbe sempre essere ricordato quando si parla di sostanze che influenzano la salute, è la dose che fa il veleno.

Due sono i possibili effetti da tenere in considerazione: quello a brevissimo termine (per esposizione a dosi massicce per un breve periodo) e quello a lungo termine o cronico (per esposizione prolungata a basse dosi).

Nel caso del glifosato il problema principale sembra essere quello a breve termine e prende in considerazione la salute degli agricoltori, che sono sottoposti ai fumi del diserbante per determinati periodi di tempo. Diverso sembra il problema relativo all’esposizione a lungo termine e che interessa invece il consumatore.

Come abbiamo visto il pericolo principale in questo caso sembra essere l’acqua potabile, ma non ci sono ancora dati sufficienti per comprendere se e quanto questo pericolo sia tangibile o meno.

Attualmente riteniamo doveroso mantenere uno stato di “consapevole interesse” sugli effetti del glifosato, alla luce dello studio della WHO, tuttavia non è neppure il caso di lasciarsi andare a facili allarmismi.

glifosato nella birraNon ultimo il caso della birra tedesca nella quale è stato trovato del glifosato e che ha fatto gridare allo scandalo, senza considerare che le quantità rilevate sarebbero risultate dannose per un individuo che avesse consumato circa mille litri di birra in pochissimo tempo (a quel punto sarebbero subentrati di certo altri problemi di salute non di certi imputabili al glifosato).

Ricordiamo poi che la classificazione nella categoria 2A è la stessa nella quale poco tempo fa sono state inserite le carni rosse non lavorate, per le quali è stata raccomandata una diminuzione di assunzione e non certo il bando dalle tavole.

Per concludere, quello che auspichiamo è un incremento degli studi che permettano di fare sempre maggiore chiarezza sugli effetti di questa sostanza. Rimaniamo in attesa di ulteriori sviluppi sulla vicenda anche in virtù dell’imminente decisione della U.E. nel prossimo luglio, riguardo la proroga dell’autorizzazione all’utilizzo del glifosato per i prossimi 15 anni.

nostra pasta pesticidi

Quanto è sicura la nostra pasta?

By Laboratorio, Sicurezza AlimentareNo Comments

La pasta è uno dei simboli del “made in Italy” ed è giustamente un alimento del quale il nostro Paese si vanta in quanto a qualità e bontà. Tuttavia, così come per altri alimenti, anche la pasta è esposta a pericoli che possono renderla un alimento non così appetibile per il consumatore.

Tra i pericoli più frequenti non possiamo sicuramente tralasciare i pesticidi (o come sono meglio conosciuti in gergo tecnico, i residui di antiparassitari) e le micotossine.

Le differenze tra i due sono abbastanza marcate sia dal punto di vista dell’origine del pericolo, sia dal punto di vista della possibile gestione da parte delle aziende.

Cosa è emerso dalle analisi di laboratorio?

I residui di antiparassitari sono, come dice il loro nome, dei residui di prodotti di sintesi, utilizzati nel campo agricolo per proteggere le colture dai parassiti che potrebbero danneggiarle; sono quindi classificabili come un pericolo chimico. Vi è un elenco di questi prodotti sia nella normativa Europea (Reg. C.E. 396/05) che in quella Italiana (Decr. Min. Sal. 27/08/04) e per ognuno di essi viene indicato se possano essere utilizzati su un particolare alimento, oltre a un limite di concentrazione massimo consentito.

Per le aziende produttrici di pasta, quindi di un prodotto finito che utilizza una materia prima (il grano) trattata con antiparassitari, tenerne sotto controllo le concentrazioni è un compito assai arduo dato che la materia prima stessa non è sotto il loro diretto controllo. In questa fase diventa quindi cruciale una adeguata qualificazione dei fornitori, attraverso la quale garantire la qualità delle materie prime utilizzate. Di sicuro aiuto è anche un programma di controlli presso i fornitori stessi, per verificare le modalità operative utilizzate durante la coltivazione. In linea generale le paste sottoposte ad analisi hanno evidenziato dei residui di antiparassitari assenti, o presenti in quantità molto al di sotto dei limiti di legge, indice di una materia prima di qualità. La presenza sporadica può essere dovuta, oltre che ad un utilizzo diretto dell’antiparassitario, a contaminazioni indirette (in genere gli antiparassitari sono applicati in forma di aerosol, quindi facilmente diffondibili con il vento) da coltivazioni adiacenti.

Le micotossine sono delle tossine derivanti dalla presenza di funghi, spesso presenti nei locali dove la pasta viene stoccata. Rispetto agli antiparassitari, stiamo parlando dunque di un pericolo microbiologico che può invece essere facilmente controllato dalle aziende produttrici di pasta (con la corretta manutenzione dei locali, con il controllo delle condizioni di umidità degli ambienti ecc.).

Anche in questo caso i risultati dei test hanno fornito un quadro soddisfacente, dato che tutti i valori riscontrati sono risultati al di sotto dei limiti di legge stabiliti dal Reg. CE 1881/06.

Nell’ambito delle micotossine riveste un ruolo molto importante il DON (Deossinivalenolo), una micotossina che, pur essendo stata dichiarata non cancerogena nel 1993, è ancora al centro di studi e approfondimenti. Attualmente la Commissione Europea ha commissionato all’EFSA (European Food Safety Authority – Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) uno studio relativo agli effetti dei metaboliti del DON sulla popolazione. Lo studio, il cui termine era stato originariamente previsto per Dicembre 2015, è stato prorogato fino a Luglio 2016, per consentire di ottenere una serie di dati più esaustivi possibile. Questo giustifica la grande attenzione per questa micotossina e spiega il perché venga sempre inclusa nei parametri da ricercare.

Un dato interessante, emerso dai valori di DON riscontrati sui campioni di pasta (ricordiamolo, sempre al di sotto dei limiti di legge previsti per la pasta secca), è quello relativo ai limiti previsti per questo contaminante negli alimenti per lattanti e bambini (da zero a tre anni). In alcuni casi, i valori di DON rilevati nei campioni esaminati, oltrepassano il limite previsto, pari a 200 ppb (µg/Kg), facendo quindi scattare un campanello d’allarme.

Tuttavia, c’è da considerare che quando la Normativa menziona gli alimenti per lattanti e bambini, si riferisce ad alimenti specificamente realizzati e commercializzati per questa categoria di utenti. Dunque, laddove non vi siano sull’alimento espliciti richiami ai lattanti e bambini, il limite sopra riportato non può essere considerato un parametro realmente discriminante.

Può essere invece utilizzato come spunto per capire come sia fondamentale una adeguata formazione ed informazione al consumatore; un genitore deve sapere che un prodotto “per adulti” può non avere tutte le caratteristiche idonee ad essere consumato dai bambini, per i quali sono invece poste in commercio delle alternative appositamente realizzate.

In conclusione, tutte le paste analizzate sono risultate sicure da un punto di vista della presenza di contaminanti (siano essi chimici o microbiologici), confermando la qualità di questo prodotto di punta della produzione alimentare Italiana.

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